Letteratura

Brizzi in diretta dal vero

Accasciato dalla lettura dei romanzoni di Claudio Magris e di Dacia Maraini, con la loro pretesa di mettercela tutta, l’uno saccheggiando le nefandezze della guerra, l’altra apprestando un centone di tutti i torti inflitti all’infanzia, mi sono consolato leggendo l’ultimo Brizzi, “Il matrimonio di mio fratello”. Non per nulla si tratta di uno degli autori emersi nel favolosi anni Novanta, chiamati a leggere brani inediti negli incontri di Reggio Emilia, a RicercaRE, che in genere anche in seguito hanno dimostrato di rimanere all’altezza di quel loro impetuoso emergere, ma non senza passi falsi. E anche il nostro Brizzi qualche battuta a vuoto l’ha pure commessa. Senza contare che già ai suoi inizi, nel ’94, col pur fortunato “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, sembrava appartenere a fatica a quella cooperativa di soci, caratterizzati semmai da brutalità e violenza, laddove lui si raccomandava per una tenera fragilità adolescenziale. Tanto che poi si era sentito in obbligo di rimediare tuffandosi anche lui in qualche prova di brutalità delittuosa, per esempio col successivo “Bastogne”, o anche con un penultimo “O la va o la spacca”. Ma in definitiva egli ha ritrovato un proprio equilibrio attorno a una schiettezza di invidiabile continuità, se non adolescenziale, per lo meno giovanile, riuscendo a trovare vie anche abbastanza insolite in cui sviluppare la sua incontenibile e smisurata felicità di narratore allo stato puro. Sono venuti i pellegrinaggi avventurosi, magari condotti a piedi, e inframmezzati di incontri e perfino di vicende da “giallo” poliziesco (“Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro”). Poi Brizzi ha imboccato una serie felice e azzeccata inoltrandosi in un genere di fantapolitica, spingendo cioè il suo come sempre fresco e vivace “alter ego” a sperimentare addirittura un mondo a venire, procedendo sulla base di ipotesi irreali, supponendo cioè che con una giravolta improvvisa Mussolini si fosse sottratto all’abbraccio mortale di Hitler schierandosi a fianco degli alleati. Ecco così le esilaranti avventure dei fascisti che risalgono la Penisola a fianco degli Alleati, oppure dei tornei di calcio che si compiono in un’Africa coloniale rimasta affidata a noi, come premio del “giro di valzer” compiuto all’ultimo momento dal Duce. E già in queste fantastorie Brizzi ha dimostrato una piena aderenza ai fatti del nostro oggi, seppure brillantemente girati verso il futuro, forse proprio per timore che la loro pochezza e banalità intrinseca non bastassero a giustificarli. Ma ora si è deciso, inutili queste fughe in avanti, meglio svolgere una cronaca fedele e in presa diretta dei nostri anni. Ne è venuto pertanto questo magnum opus che sfiora le 500 pagine, posto all’incrocio di tante categorie che sono venuto agitando negli ultimi tempi. Si potrebbe parlare di una autonarrazione, alla maniera di certe imprese recenti di Maggiani e di Scurati, tanta è l’immediatezza e apparente veridicità del personaggio che guida questa ampia cavalcata, Teo, parlandoci in prima persona. Ma i conti non tornano, conosco di persona il padre di Brizzi, già mio collega universitario, e proprio non risponde ai connotati del padre del romanzo, che invece è un abile manager di una ditta di motori. E dunque, siamo in presenza di uno straripante documento in cui il vero della cronistoria si muta in verosimile poetico, ma mantenendo miracolosamente tutta la fragranza di partenza, così come un prodotto alimentare, pur messo a conservare, potrebbe mantenere tutte le virtù biologiche di cui è dotato per suo conto. E dunque, posso agitare il mio motto di una narrativa che si può riferire a un realismo dotato di due “nei”, cioè a un neo-neorealismo, oppure appartenere al “new italian realism”, e nel modo più integrale e lodevole. Sì, perché Brizzi non bara, tutto in questa prova ha il sapore delle cose vissute in prima persona, a differenza della ben più titolata, rispetto a lui, Maraini, che però non ce la fa a raccontare da sé, ruba i compiti dai vicini di banco, cioè dalle notorie vicende già raccontate dall’infinita schiera dei giornalisti sia cartacei che televisivi, con cui del resto spartisce onori e favori. Qui invece tutto è giusto, tutto si pone lungo l’asse che dal vero porta al verosimile, andata e ritorno. Giusti i rapporti di Teo, fratello junior, che dunque subisce l’ascendente del primogenito Max, suo maestro di vita, come quando gli insegna come nascono i bambini, dovuti al fatto che il padre instilla nella madre un piccolo germe, da cui salta fuori la sorella Sofia. Perfetti, nei loro limiti, difetti, errori, manchevolezze, i ritratti del padre Giorgio e della madre Adriana. Del resto dovunque si volga lo sguardo avido, bulimico dell’io narrante, intravediamo volti, profili, esistenze, tutti ben marcati dal segno del veridico, dell’accettabile, senza sforzo, tutto risponde in pieno alla nostra stessa esperienza. Perfino i fatti della vita politica, incontrati sul filo dei decenni occupati da questa inarrestabile educazione sentimentale, sono accettabili, rispondenti a quanto ne sappiamo e abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Brizzi nell’occasione non dimentica del tutto le sue precedenti imprese di avventuroso viaggiatore, infatti l’intero romanzo è percorso da una trama precisa, il narrante Teo, ormai divenuto un giovane di successo, mentre rientra con la sua auto da un ennesimo viaggio di affari, viene pregato dagli angosciati genitori di accorrere alla ricerca del fratello Max, che ha seguito un curriculum colmo di peripezie, di passi incerti e travagliati, fino al matrimonio da cui l’intera opera riceve il titolo, con tale Giulia, con cui ha partorito ben tre figli. Ma poi c’è stata l’inevitabile, ai nostri giorni, separazione, e chissà che Max, trovatosi ad avere temporaneamente affidati i figli, da una ex-moglie e loro madre divenuta crudele e sprezzante nei confronti del povero coniuge, non abbia meditato qualche passo estremo, col che si spiegherebbe il silenzio del suo cellulare. Da qui la missione estrema e angosciata del protagonista Teo, costretto a invertire la marcia, a correre verso il Trentino dove risiede il disgraziato fratello. Beninteso, al solito, è un viaggio colmo di tutti i dati accessori quali si possono presentare a ciascuno di noi se costretto a un percorso su autostrada: meraviglie del paesaggio, stanchezza, soste a rifocillarsi, a fare il pieno di benzina, fino poi a scoprire che naturalmente nulla è successo di grave, la formula di questa cronistoria familiare non ammette catastrofi, tragedie, colpi di scena, che non siano il normale estinguersi di persone invecchiate, o l’affacciarsi di malattie, il tutto pur sempre affidato al registro del vero-verosimile, pronti a tradursi l’uno nell’altro in modo perfettamente scorrevole ed efficace.
Enrco Brizzi, Il matrimonio di mio fratello, Mndadori, pp. 497, euro 22.

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