Attualità

Dom. 20-8-17 (Regeni)

L’argomento del giorno potrebbe essere il ritorno del nostro ambasciatore al Cairo, su cui sono piovute reprimende, accuse di debolezza del nostro Stato, o addirittura di condotta vergognosa e rinunciataria. In questo senso si è pronunciato un fondo di Franco Venturini sul “Corriere” di giovedì 17 agosto, ma mi sembra che una reazione del genere sia esagerata e ingiustificata. La cosa, ahimé, va ripetuta anche nei confronti dei genitori di Giulio Regeni, i quali, invece di inveire a posteriori sulla condotta troppo debole dei nostri organi governativi, avrebbero dovuto vegliare di più sul figlio, scoraggiarlo dall’intraprendere un viaggio pericoloso, in preda a eccessi di ambizione, a bramosia di distinguersi per qualche operazione brillante e meritevoli di encomio. Molte responsabilità si devono attribuire anche ai docenti universitari che pure loro non hanno dissuaso l’allievo dall’andare a compiere indagini così pericolose. Si sa anche quanto sia stato grave il loro silenzio, la loro reticenza su questo caso, tanto da giustificare i sospetti che in effetti fosse stata data al povero Regni qualche missione occulta, al di là delle motivazioni ufficiali. Si fa luce il sospetto che a indurre le ignote forze di polizia segreta egiziana a infierire in misura così selvaggia e abnorme sul povero ragazzo non ci siano stati per nulla i suoi rapporti con sindacati messi al bando, bensì appunto il sospetto che egli fosse legato a una rete di spie britanniche, da qui la tortura, la crudeltà inaudita messe in atto nei suoi confronti. Comunque, dopo il gesto puramente simbolico di richiamare per qualche tempo il nostro ambasciatore, il nostro governo non poteva fare altrimenti, non poteva perseverare nel fare “la faccia feroce”. In definitiva, Regeni non era stato mandato in missione da noi, era in Egitto per ragioni private e anche abbastanza oscure, o tutt’al più per un incauto donchisciottismo, che genitori e autorità accademiche avrebbero douto frenare. Che si voleva da noi, che dichiarassimo guerra all’Egitto, che lo invadessimo? Mentre sono evidenti gli interessi che ci impongono di ristabilire, pur con un dittatore spietato come Al Sisi. un modus vivendi. Non è vero forse che oggi si usa rimproverare l’Occidente di aver sterminato Gheddaffi, o forse addirittura Saddam Hussein, così destabilizzando quelle regioni? Si sa bene qual è la posta in gioco, lubrificare i rapporti con Al Sisi perché lui a sua volta si faccia mediatore tra noi e Haftar, il dittatore di Bengasi con cui dobbiamo fare i conti in Libia. E dunque, gesto corretto, dovuto, quello di ristabilire normali relazioni diplomatiche con l’Egitto. Semmai, in tutta questa vicenda emergono i torti della nostra “intelligence”, toccava ai nostri servizi segreti cercare di appurare il vero motivo dell’accanimento contro il povero Regeni, e soprattutto capire a quale livello erano poste le forze del male intervenute su di lui. Se addirittura queste risalivano al dittatore Al Sisi, nulla da fare se non abbozzare, tacere, mandar già. Ma la cosa è molto improbabile. Per quanto incauto sia stato Regeni, difficile pensare che le sue minacce fossero giunte a colpire in così alto loco, e dunque è intervenuto contro di lui qualche organismo intermedio, Toccava alla nostra “intelligence” indicare al governo di quale livello di quali responsabili si è trattato, nel quale caso forse le alte autorità egiziane avrebbero potuto far cadere qualche testa intermedia per ristabilire una normalità di rapporti con noi. Purtroppo il silenzio totale che i nostri servizi segreti non sono riusciti a dissipare porta a una molto probabile cancellazione dell’intero caso.

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