Attualità

Dom. 6-11-16 (Prodi)

In questo Domenicale riprendo l’atto d’accusa contro personaggi alquanto simili agli ignavi danteschi, di coloro che non si esprimono circa il sì o il no al referendum del 4 dicembre, pur avendo un obbligo morale a pronunciarsi, dati gli alti incarichi politici ricoperti in passato. Almeno Bersani in proposito ha avuto il merito di sciogliere il “ni” che maliziosamente gli attribuiva Crozza in un perentorio quanto rovinoso e immotivato “no”, a differenza di Cuperlo che seppure avanzando molte condizioni sembra marciare verso il sì. Anche il “no” di Monti è alquanto incomprensibile, ma rientra nelle mosse di un Italo Amleto, sempre titubante e cauteloso, che solo il coraggio di Napolitano è riuscito, nell’11, a buttare in scena e a fargli svolgere un ruolo in quel momento senza dubbio positivo, da cui poi lo stesso Monti si è ritratto sbagliando ogni mossa. Si fosse fermato in quella posizione, di saggio arbitro e salvatore della patria, sarebbe stato quasi sicuramente eletto alla presidenza della Repubblica, ma poi, siccome l’appetito vien mangiando, da ipocrita qual è in sostanza, egli ha voluto scendere in campo con esito disastroso, guastando la sua immagine prudenziale e bruciandosi per sempre. Non sarà certo il “no” ora pronunciato in pessima compagnia a rilanciarlo in qualche modo. Ma ora vorrei bacchettare le astensioni da una dichiarazione esplicita di cui si sono resi colpevoli Romano Prodi e Giuliano Pisapia, con una prudenza che non capisco bene a che serva, non certo a rilanciare in qualche misura le loro chances. Prodi resterà nella storia d’Italia per la coraggiosa assunzione di responsabilità che esattamente trent’anni fa lo ha portato a farsi il primo capo di un governo di sinistra, cosa che non era mai riuscita prima, e non sarebbe riuscita neanche dopo, a tutti gli esponenti di quella che allora si considerava la forza più autorizzata di quel fronte, il Pci e sue varie trasformazioni successive. Si sa che dal successo di quell’operazione magistrale, e da iscrivere nella storia del nostro Paese, Prodi è stato scalzato per le intemperanze interne di quel medesimo fronte e dei suoi inguaribili e distruttivi sinistrismi, che allora ebbero la voce di Bertinotti. Si sa anche che poi D’Alema, dopo il nobile rifiuto di Prodi di mantenersi alla testa di una maggioranza mutata, gli subentrò, senza alcun voto popolare, e dunque è ridicolo che ora sia corifeo di quanti rivolgono a Renzi di non avere alle spalle un voto diretto dei cittadini. Renzi appunto è stato il successore di Prodi, anche lui capace di forzare la situazione e di impadronirsi del potere, da cui ora gli inconsolabili eredi della sinistra postcomunista lo vogliono far fuori. Ma perché Prodi non è corso in suo aiuto, perché si chiama fuori dalla mischia? O in alternativa, pronunci un no deciso, se partecipa della credenza che quel suo successore sia il male allo stato puro. A quanto pare, il politico bolognese non ha mai rimarginato le ferite della mancata elezione alla presidenza del nostro Stato, il che fu forse il principale smacco di Bersani e la sua condanna a ogni pretesa di leadership. Forse Prodi “sa” chi furono i cento franchi tiratori a sparare allora contro di lui, ha prove che tra questi ci furono i renziani, oltre ai confessi dalemiani? Ma c’è un episodio misterioso che potrebbe significare il proposito di Renzi di offrire un risarcimento allo sconfitto di allora, non si sa se anche per qualche colpa sua. In vista delle ultime elezioni alla presidenza della Repubblica avvenne un misterioso incontro tra il leader in carica e Prodi stesso, che non era certo per offrirgli quella candidatura. Pare che l’offerta fosse perfino di più alto bordo, di appoggiarlo per una eventuale candidatura alla segreteria dell’ONU, cosa non inverosimile, visto che poi ci è andato a finire non uno dei soliti membri di provenienza dal terzo mondo, bensì un portoghese, in definitiva non dissimile dall’identikit prodiano. Ma Romano allora disse di no, e del resto questa è attualmente la sua politica, di eterno rinunciatario, di pensionato di lusso, e in definitiva proprio il non pronunciarsi in vista del 4 dicembre è la conferma di questo sterile tirarsi fuori da ogni gioco attuale.
E anche Pisapia, tanto per cominciare, perché ha rinunciato, a differenza della quasi totalità dei suoi colleghi, a raddoppiare la carica di sindaco di Milano? Paura di essere troppo condizionato dall’incombenza di Renzi? Comunque, anche per lui, che senso ha quel gesto prudenziale di mancata pronuncia? Non pare proprio che gli si prospettino nuovi destini, e dunque quell’astensione appare quello che è, un inutile, riprovevole gesto di rinuncia.

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