Letteratura

Doninelli: come complicare le cose

Riprendo, in vista dell’assegnazione del Premio Campiello, il gioco del tutto privato e gratuito di valutare i titoli dei concorrenti a piazzarsi nella corsa in atto. L’ho fatto, ma a bocce ferme, per lo Strega, commentando il vincitore Albinati in un articolo di prossima uscita sull’”Immaginazione”. In merito al Campiello, su questo stesso blog, nell’aprile scorso, ho valutato la concorrente Elisabetta Rasy, che temo risulti la vincitrice finale, sia per le misteriose protezioni che ne hanno assecondato la carriera, sia per il carattere “narratively correct” della sua storia, di due brave giovinette che vanno alla Grande Guerra da crocerossime, ma come le loro simili potrebbero andare a frequentare un college, praticando anche, aggiunta quasi d’obbligo, un legame lesbico. Sempre sull’ ”Immaginazione” ho pure esaminato l’opera in corsa di Simona Vinci, scrittrice a me cara e spesso sostenuta, non del tutto in questo caso, in quanto si è immersa in una truce storia di privazioni e persecuzioni in cui non compare la luce di una attualità rivolta a esaminare i nostri casi di psicopatologia del quotidiano, o di ordinaria follia, senza scantonare in un viaggio dedicato a follie e sciagure di altri tempi. Col che siamo già in materia, in quanto il romanzone di Albinati, accettabile per gran parte perché rivolto anch’esso a esaminare i casi di una nostra, e sua quotidianità, vista con una lente d’ingrandimento, poi insinua in modo indebito il caso assurdo e fuori misura del delitto del Circeo. Qualcosa del genere succede anche nel romanzo di Luca Doninelli, “Le cose semplici”, che dichiarerei senz’altro il più meritevole di vincere, se non fosse gravato di scompensi simili a quelli riscontrabili sia in Albinati che nella Vinci. O diciamo anche che l’autore è il primo a contraddire il suo titolo, ovvero a rendere le cose tutt’altro che semplici, anzi, complicate oltre misura, forse anche in questo caso per la pretesa di accumulare una montagna di pagine, più di 800. Eppure, sarebbe bastato che Doninelli si accontentasse di una testimonianza a proposito dei guai della nostra comune esistenza, quali vengono sperimentati da Dodo, il suo eroe. Abbiamo sequenze assolutamente valide relative alla morte dei suoi genitori, e c’è un profilo del tutto convincente circa le nevrosi riscontrabili nella sorella Martina. E anche il tema centrale, l’incontro parigino con Chantal, ragazzina-prodige, nella matematica, volto fresco, credibile, pur nel suo arduo destino di genio precoce, viene svolto in modo attendibile, fino al matrimonio tra i due, con relative difficoltà di inserimento nelle rispettive famiglie, e viaggi incrociati proprio tra Parigi e Milano. Ma all’improvviso anche Doninelli decide di inserire nella sua vicenda una componente eterogenea, andando a visitare un filone senza dubbio suscettibile di buoni esiti, come quello della catastrofe incombente sul nostro pianeta. A un certo punto, non ci è detto bene perché, non lo saprebbe dire neppure l’autore, sta di fatto che tutto va a catafascio, e i due freschi innamorati vengono crudelmente separati. Lei ha ottenuto un prestigioso incarico in una università a New York, lui la segue, poi prende un congedo che crede provvisorio da lei, ma si apre l’enorme falla indefinita, e dunque i due restano separati per un lungo tratto di tempo. Il che senza dubbio è favorevole alla incontenibile bulimia di Doninelli, in quanto la sua storia biforca, egli può inseguire alternativamente i fatti dell’uno e dell’altra, e ancora una volta, se dimentica l’abusivo impianto catastrofico, e insegue al solito le nostre nevrosi quotidiane, ottiene pagine “semplici”, credibili, incisive, un po’ meno se insiste nel far aleggiare lo schema della catastrofe. Nel percorso che le due anime gemelle sono costrette a compiere separatamente, entra anche la nascita di figli da una parte e dall’altra, Dodo, nella solitudine imposta dalla crudele separazione, si fa un altra compagna, da cui ha un figlio, mentre Chantal mette al mondo un ultimo frutto dell’amore regolare col coniuge a lei sottratto dalla forza degli eventi. Siamo alle solite, quando non compare il divaricatore artificioso e arbitrario delle due vite obbligate a scorrere in parallele, tutto procede in termini accettabili. Ma perché L’Autore non si è limitato a svolgere “semplicemente” il tema delle difficoltà che al giorno d’oggi gravano comunque sulla vita di una coppia, nell’alternarsi dei momenti di piena intesa con altri di offuscamento o cessazione dei rapporti? Comunque, come detto in partenza, a conti fatti, se fossi giurato al Campiello, cosa che mai capiterà, non esiterei a dare il mio voto a quest’opera, anche al confronto con quelle di Bertante e Tarabbia che andrò a valutare nei prossimi appuntamenti.
Luca Doninelli, Le cose semplici, Bompiani, pp. 838, euro 23.

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