Letteratura

Fois: un falso giallo per un falso rapimento

Non sono certo un sostenitore della “Felsina narratrix”, se penso alla lunga serie di bocciature o quanto meno di giudizi tiepidi che ho emesso nei confronti di vari esponenti più o meno acclamati dell’officina bolognese, a cominciare dalla premiata ditta Wu Ming, con doccia scozzese tra approvazioni e invece stroncature. Anche la Avallone è entrata in questo mio carosello a colpi alterni, e perfino l’ampiamente da tutti omaggiato Lucarelli talvolta dalla mia pagella è uscito riportando voti bassi. Mi tengo lontano dal bamboleggiamento primitivistico di Paolo Nori e seguaci. Perfino il mio costante riconoscimento verso i reduci da RicercaRE ha presentato qualche flessione, come nel caso dell’ultimo prodotto di Simona Vinci, mentre, passando ai pochi giudizi positivi, mantengo in genere un convinto approccio ai prodotti di Brizzi e della Verasani, e di recente ho pure scoperto e apprezzato gli apporti di un ousider come Guglielmo Forni Rosa. Ma la bestia nera di questi miei umori negativi è senza dubbio Marcello Fois, verso cui non mi ha certo riconciliato il recente “Del dirsi addio”. Anche se, almeno, un merito gli devo riconoscere in partenza, di essersi finalmente distaccato dalle ataviche radici della sua Sardegna, in cui invano tentava di trasferire i lieviti della nostra scena attuale. Ora ha invertito la rotta spingendosi verso Nord Est, dalle parti di Bolzano, ma patendo di una evidente mancanza di familiarità con quel nuovo ambiente. Forse quella localizzazione gli è stata suggerita dal ben noto sceneggiato televisivo “Quattro passi dal cielo”, diversamente non si spiega l’insolita e ingiustificata scelta geografica. Del resto, sappiamo bene quale effetto di trascinamento producano oggi i “serial” del piccolo schermo sui prodotti cartacei. Infatti uno dei nuclei di questo nuovo romanzo sta nella relazione omosessuale tra l’ispettore protagonista, Sergio Striggio, e un più giovane Leo, il che sembra ripreso, questa volta, dalla serie TV dei “Balordi di Pizzofalcone”, anche se la coppia omosessuale in quel caso è al femminile, ma per il resto le titubanze, le incertezze se far apparire alla luce del sole la relazione “scandalosa” ci sono tutte. Comunque, la prestazione dell’ispettore Striggio è quanto di più valido e accettabile troviamo nel romanzo, che ha al centro la misteriosa sparizione di un bambino, Michele, mentre padre e madre, Nicola e Gea Ludovisi, sostano con l’auto in una piazzola di servizio per permettere, a padre e figlio, di andare a orinare all’esterno. Ma in quella circostanza il ragazzo scompare, nel più fitto mistero, favorito dall’oscurità della notte. Qui scatta forse l’unica invenzione positiva della trama, il fatto che non ci sia stato nessun sequestro di minore, ma solo un trasferimento, il piccolo è stato accolto sull’auto di una figura ambigua di prete, che sarà il primo a dare l’allarme, senza con questo suscitare i sospetti degli inquirenti. Attorno al motivo dello pseudo-rapimento si colloca una trama imbrogliata, piena di inverosimiglianze. A cominciare dal padre, Nicola, che è un “macho”, portato a cornificare abbondantemente la moglie Gea, fiero di una sua poderosa massa muscolare, esibita allo specchio. Ma allora, come mai questo super-dotato ha una relazione con una donnetta modesta, in tutti i sensi, una insegnante del luogo, che giunge al suicidio in quanto abbandonata da un amante così inadeguato al suo standard? E come è possibile che la madre Gea possa sospettare il marito, non tanto di tradimenti coniugali, ma addirittura di avere propositi di pederastia ai danni del figlio? Anche se si allontana, almeno, l’infame accusa di un possibile incesto, in quanto la vicenda contorta ci fa scoprire che in realtà Michele è figlio di altri, ed è legato da complicata parentela col falso sacerdote, legato a sua volta a Gea. Da qui l’idea di mettere in salvo il bambino sottoposto a minaccia trasbordandolo su un’auto più sicura. Ma la matassa è davvero imbrogliata, più di quanto sia ammissibile anche in un “giallo”, cui in genere si concede di intricare le carte, purché alla fine i vari elementi vadano al loro posto, il che in questo caso avviene con molte difficoltà. Senza parlare di taluni inserti storici in cui compaiono il fiorentino Rucellai e il signore di Rimini Sigismondo Malatesta, con ben scarsa giustificazione rispetto a una vicenda che batte acque territoriali del tutto ambientate ai nostri giorni.
Marcello Fois, Del dirsi addio, Einaudi, pp. 296, euro 20.

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