Attualità

La pagella di Obama

Nella mia infinita, ma del tutto solitaria presunzione che mi porta a dare la pagella ai grandi della terra, proseguendo in una logica progressione, dopo Renzi e Papa Francesco giungo fino a Barack Obama, che di sicuro è il più potente fra tutti. Sono stato uno dei milioni, o forse miliardi, di persone che hanno tripudiato quando lui è stato eletto alla presidenza degli USA nel 2008, poi soffrendo quando via via sembrava che la sua immagine si stesse appannando, fino a metterne a rischio la rielezione per il successivo mandato. Ma poi, uscendo dalla bonaccia e riprendendo a cogliere il vento, la sua nave si è rimessa ad “andare”. Buone le prestazioni all’interno, in cui, seppure a stento e con mille condizionamenti, è riuscito a concedere un po’ di assistenza medica al terzo stato, bene gli interventi per sanare la grande depressione, in cui ha in qualche misura ricalcato le orme del grande Roosvelt contribuendo con soldi governativi a rilanciare le imprese, ne sa qualcosa la Fiat per l’aiuto ricevuto proprio da lui nello stabilire una “joint venture” con la Chrysler. Bene infine sul fronte esterno, dove ha evitato i rovinosi coinvolgimenti in cui era caduto il suo famigerato predecessore Gorge W, Bush, e Dio protegga gli Stati Uniti dal dover patire la sventura di un terzo Bush alle leve del comando. E ancora, Obama ha cercato di cavarsi fuori dalla trappola mortale dell’Afganistan, anche se al momento non ce l’ha fatta del tutto. Ha rischiato di cadere anche lui in un rovinoso interventismo, questa volta in Siria, e ancora una volta con la scusa sempre pronta a giustificare gli interventi militari, che cioè qualche stato-canaglia, questa volta appunto la Siria, si sia permesso di fare ricorso alle armi chimiche. Bene invece la sua politica di giungere a un accordo con l’Iran, e anche di ristabilire buoni rapporti di reciproca coesistenza con Cuba. Operazioni per cui ha ricevuto lodi da fonti ben più autorevoli rispetto a queste mie misere noterelle, perfino dal magno Kissinger, che ha osato paragonarlo addirittura a un Metternich dei nostri tempi. Nell’inseguire una simile politica di rappacificazione con l’Iran, considerato fino a ieri il primo in lista fra tutti gli stati-canaglia, sta rintuzzando validamente le proteste irose e stizzite del premier di Israele, il nefasto Netanyahu. Però, a questo proposito, una noticina di critica può venire anche dal sottoscritto. Nella trattativa con l’Iran era forse il caso di strappare, magari anche con insistenza ricattatoria, l’impegno a riconoscere lo Stato di Israele. Una esigenza da imporre anche, se non agli esagitati di Hamas, almeno al più civile e pacato Presidente ufficiale della Palestina Abu Mazen. Purtroppo il mancato riconoscimento di Israele resta un’arma nelle mani di Netanyahu, che ne approfitta per condurre distruttive campagne militari contro la striscia di Gaza, quest’ultima, ahimé, nelle mani di Hamas, con le loro inutili e ridicole selve di innocui razzi scagliati contro il ben più potente vicino, che ben volentieri ne approfitta per rivolgerle contro di loro le armi assai più micidiali di cui Israele dispone con larghezza, foraggiato com’è proprio dagli aiuti statunitensi. Infine, altra nota a demerito, Obama cessi di aizzare l’Eurozona ad andare a una fiera quanto inutile, e anche ingiustificata battaglia contro Putin, che in definitiva in Ucraina si limita a difendere i diritti di regioni russofone. Di passaggio, diciamo pure che la nostra Mogherini, su cui si sono accaniti i giudizi ingiuriosi dei “gufi” di casa nostra, si è sempre piazzata dalla parte giusta, cioè accanto a Obama a sostenerlo in tutte le trattative con l’Iran, ma anche a moderare il cipiglio feroce che i Paesi della Nato, al comando del socio di maggioranza, pretendono di ostentare contro l’Orso russo. Insomma, pagella positiva, non scevra di qualche ombra.

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