Letteratura

Laura Pugno: una logora vicenda di gemelle

Concludo l’analisi, e valutazione, della cinquina in corsa per il Campiello esaminando “La ragazza selvaggia” di Laura Pugno. Sarei ben lieto di trovare in quest’opera un outsider meritevole di un adeguato riconoscimento, pur sempre dopo Covacich, assolutamente degno se non altro per tutta la sua storia alle spalle, e Massini, per la laboriosità della “macchina” narrativa con cui si presenta. La Pugno ha senza dubbio il merito di porsi fuori dall’”usato sicuro”, ovvero da una ennesima riedizione del vecchio neorealismo nostrano, in cui cade in definitiva Donatella Di Pietrantonio col suo “Arminuta”. A Lei dobbiamo un’opera superba come “Le sirene” del 2007, sicura, ben congegnata nel percorrere le vie di una fantascienza non troppo lontana da temi di attualità, da porre nello scaffale assieme agli esiti più prestigiosi di Pincio, come per esempio “Cinacittà”. Però, dopo quell’esito riuscito, la nostra narratrice mi sembra essere entrata in una parabola discendente, allontanandosi da quel livello. Qualche residua taccia di quei sentieri della malattia, della deroga da una normalità troppo tranquilla, si poteva trovare in “Quando verrai”, poi confusi, annacquati nel successivo “Antartide”, che ci ha presentato un quadro in bilico tra comune verosimiglianza e inquietanti comparse del “diverso”, ma solo perché il protagonista si mette sulle tracce di una associazione diabolica intenta a garantire a persone anziane la “buona morte”. In questa ultima prova l’indice di alienazione, che nella Pugno, per sua e nostra fortuna non manca mai, è affidato a un motivo davvero frusto e perfino banale, trattandosi di due gemelle, di cui c’è già stata tanta presenza in tutta la produzione narrativa, sia nel cartaceo che nel filmico. Si riaffaccia la sindrome ben nota per cui le gemelle sono legate da un cordone ombelicale di simpatia, nel senso letterale della parola, ma anche di opposizione, per cui l’una, che in questo caso si chiama Nina, è piena di doti, quasi sottratte alla sorella Sasha, che stenta a crescere, a parlare, a dare segni di normale intelligenza. Le due si dividono anche sul piano etico, in quanto Nina, orgogliosa delle sue capacità, si comporta con spietato cinismo e crudeltà verso la congiunta portatrice di handicap. Per mettere in campo le due protagoniste l’autrice inventa storie aggrovigliate, di coppie unite e poi divise, di adozioni cui si giunge attraverso peripezie astruse e dispersive, che però fungono solo da collanti, in quanto l’attenzione si concentra sulle due vere protagoniste della vicenda. Per complicate circostanze inutili da chiarire le due vengono a trovarsi in una dimora estiva attigua a un bosco, che diviene la meta di una tragica passeggiata. Infatti in quell’occasione Nina dà prova di una cattiveria inaudita, distruggendo a bella posta i segni che avrebbero permesso alla sorella di ritrovare la strada verso casa, così abbandonandola a se stessa, a lungo, per molti anni, e così costringendola a regredire a uno stato di natura. Finché una delle varie presenze non troppo decisive nel romanzo vede ricomparire la “ragazza selvaggia”, divenuta simile a una bestia, con quasi totale perdita di una condizione umana. Inutile stare a ricordare la folla di riferimenti che possono accompagnare un tema così abusato, dal Mowgli di Kipling al “buon selvaggio” di tanta letteratura filosofica. Col solito problema: che fare, di fronte a questo caso difficile, avviare un procedimento di rieducazione della “selvaggia”, o invece rinunciarvi? Il tutto complicato dall’obbligo di mantenere i due fronti. Nina nel frattempo sconta i suoi peccati, la sua troppa intelligenza, ma accompagnata a perfidia, entrando in un coma irreversibile, assistita dalla sorella totalmente devota, per nulla vendicativa, come fosse un animale fedele. Nulla da fare, la giovane fin troppo dotata se ne va all’altro mondo, e l’anima gemella in definitiva fa la stessa fine, ovvero i genitori adottivi, assieme a tutte le altre comparse, convinti della loro impotenza, restituiscono la “ragazza selvaggia” all’esistenza animalesca e boschiva. E’ quasi una dichiarazione di impotenza, l’autrice non sa come amministrare la situazione che ha messo in piedi, a quale esito condurla. Come aprire una porta, e subito dopo chiuderla per impotenza a procedere in qualche direzione.
La ragazza selvaggia, Marsilio, pp. 174, euro 16,50.

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