Attualità

Mazzucco: un rapporto ben risolto tra cronaca e romanzo

Ho ricevuto l’ultimo libro pubblicato da Melania Mazzucco, “Io sono con te”. Mi valgo di un’espressione del tutto vaga come “libro”, o potrei spingermi a far uso dell’ appena più specifico termine di narrazione, in quanto in una generosa dedica l’autrice mi avverte che questa sua ennesima prova è “senza genere”. In essa, il “vero” della storia, cioè di una realtà vista coi propri occhi , dalla radice greca “id”, propria di un responso oculare, interferisce in minima misura col verosimile, cioè con un ricostruzione fantastica quale dovrebbe spettare al romanzo, al poema, e renderli, secondo la lezione aristotelica, più “filosofici”, più di alto respiro rispetto al piccolo cabotaggio del riporto di cronaca. Ma la nostra Mazzucco è da sempre abituata a muoversi tra questi due stremi nel tentativo di conciliarli. Se ripasso in esame i miei giudizi sul suo percorso, li vedo a mia volta dominati da questo motivo fondante, il che per esempio mi ha obbligato a partire in tono negativo, a proposito di uno dei primi prodotti di Melania, “Vita”, 2003, forse perché la parte spettante alla “storia” era falsata, la vicenda partiva da uno scenario newyorkese anteguerra di cui ovviamente la scrittrice non era stata testimone diretta, dovendo quindi fare troppo affidamento su una ricostruzione che sfiorava la maniera, all’insegna di stereotipi acquisiti. Ma poi la Nostra ha presto rimediato a un simile inconveniente, ovvero i due continenti, il vero e il verosimile, nella sua opera si sono accostati fino quasi a combaciare, come è avvenuto con “Un giorno perfetto”, 2005, dove evidentemente lei non ha seguito passo passo l’angoscioso percorso che porta un bravo, in partenza, paterfamilias a compiere un’orrida strage dei familiari, ma una documentazione capillare aveva abbondantemente sopperito alla testimonianza diretta. Il che va ripetuto per “Limbo”, del 12, anche in quel caso Melania non ha indossato le divise e i giubbotti antiproiettile dei nostri soldati in Afganistan, ma era riuscita nel fine di conseguire una “total immersion”. Non solo, non basta infatti aderire a senso unico a un unico spaccato di realtà, oggi è destino comune di viverne varie facce, c’è un’andata e un ritorno, gli scenari da passare al setaccio fine sono almeno due, il fronte lontano e l’ambiente domestico vicino. Poi c’è stato un intermezzo, con “Sei come sei”, 2013, quasi che la Mazzucco avesse voluto concedersi una vicenda intonata al verosimile romanzesco allo stato puro, benché imbevuto di temi di stringente attualità etica e psicologia. Ma ora di nuovo, e come non mai prima, siamo alla “full immersion”, fornita dall’incontro fortuito con una delle tante povere esistenze di migranti, che si trovano per esempio alla Stazione Termini, a vivere di stenti, sottraendo un cibo guasto dai bidoni della spazzatura, a dormire sdraiati su cartoni, col rischio di subire aggressioni da qualche altro poveraccio ancor più malridotto, o anche di natura sessuale, su un corpo del resto già sottoposto ad ogni possibile stupro e violenza. La persona casualmente incontrata giganteggia, è Brigitte Zébé, una congolese che a spizzichi, a squarci, inframmezzati da fughe e scomparse, si fa strappare la sua storia, che comunque riempie tutto lo schermo, non lascia margini, cesure, spazi vuoti. E questa è la virtù della presente narrazione, che le fa vincere una specie di gara istituita su queste mie pagine. Mi è capitato di dire che molti dei concorrenti ai primi posti di una classifica dell’anno, l’Albinati dello Strega, la Vinci del Campiello, altri aspiranti potenziali come Doninelli, sono caduti nella sindrome Giamburrasca, ovvero hanno avuto il timore di non riuscire a riempire lo spazio del loro romanzo con la forza di motivi propri, e sono andati quindi a “rubare” storie altrui, concessioni a un romanzesco acquisito per procura. Invece, qui, tutto è autentico, vissuto o ricostruito in presa diretta, seppure con gli inevitabili accorgimenti che l’intera storia della narrativa ci ha insegnato ab origine. Ovvero, la tremenda vicenda di Brigitte ci viene proposta con giusti ritmi di avanti e indietro, ci sono i flash back che ci dicono come una brava infermiera del suo Paese, con marito e figli e posizione invidiabile, viene colpita da una persecuzione che la costringe a lasciare tutto, a giungere a Roma per vivervi di sotterfugi. L’odissea che attende questi immigrati è seguita passo passo, con piena nozione di causa, con fornitura di dettagli, indicazione di luoghi, di istituzioni che cercano di portare soccorso a questi disgraziati. Infatti il presente accurato resoconto “storico” evita la soluzione di maniera del”tutto nero”. In fin dei conti ci sono brave persone che, presso di noi, si prendono cura di questi derelitti, e tante volte la colpa è la loro, della loro impreparazione e ignoranza, se mancano a certe occasioni e ritornano periodicamente in strada. Ma la testimone non molla la presa, è sempre pronta a ricominciare, a ristabilire il filo diretto di una sorta di intervista, dove la parola fa a gara con l’evidenza dell’immagine e del suono affidati a una registrazione elettronica. Impossibile inseguire i mille risvolti attraverso cui procede, a ritmo fitto e ossessivo, questa anamnesi, talvolta anche a valenza medica, psichica, Forse però se si vuole indicare un argomento centrale, questo è il dramma della madre costretta a fuggire senza lasciare notizia di sé ai figli, ma in seguito ha inizio una impresa paziente, esasperante, sempre interrotta e sempre riallacciata, per farli raggiungere nella nostra Capitale la madre sventurata. Tanta è l’evidenza, la forza plastica conferita a questo avvenimento, che quando i due figli maschi, primi a essere recuperati, superano i controlli a Fiumicino e intravedono a distanza la madre che quasi non conoscono più, il comune lettore prova una forte emozione, fino alle lacrime.
Melania G. Mazzucco, Io sono con te. Storia di Brigitte. Einaudi, pp. 255, euro 17,50.

Standard