Letteratura

Murakami tra realtà e irrealtà

La bella iniziativa di “Repubblica” di allegare ogni settimana al giornale un capolavoro della narrativa internazionale posteriore al 2000 mi ha permesso di acquisire quello che forse è da considerarsi il capolavoro del giapponese Murakami Haruki, “Kafka sulla spiaggia”, del 2002, mentre già si annuncia l’uscita di un’altra sua opera, che forse gli consentirà di riportare il Nobel per la letteratura. Ero a corto di informazione su questo pur acclamato autore, e dunque l’occasione è utile per consentirmi di ragionare su di lui e sul suo mondo. Che certo lancia numerosi sguardi verso il nostro mondo occidentale, a cominciare dal titolo stesso in cui viene chiamato in causa uno scrittore per noi fondamentale come Kafka, e in effetti il mix tra realtà irrealtà che, a prima vista, potrebbe essere detto come tipico del narratore ceco trova ampio e continuo riscontro, nel suo presunto seguace nipponico. E si aggiungono tante altre citazioni, di Bergson, di Cechov, di musicisti come Brahms e Puccini. Ma è una vicinanza ingannevole, o quanto meno “double face,” come del resto lo è la stessa realtà di Tokyo, quale mi è apparsa nelle non frequenti visite che vi ho fatto. All’esterno, e a prima vista, un muro continuo di edifici e grattacieli sembra voler attestare una piena fedeltà al modello dell’architettura occidentale, soprattutto degli USA vincitori nel secondo conflitto mondiale e da quel momento divenuti modello preferenziale per il popolo del Sol Levante, da imitare supinamente. Ma basta scantonare, aggirare quelle severe facciate, recarsi nel loro retro, e allora appariranno deliziosi giardinetti che sembrano invogliare alla meditazione, all’evasione, ai tuffi nel misticismo Zen. Così pure questo enorme romanzo pratica ad ogni passo un doppio registro. Per un verso siamo in presenza di un realismo meticoloso che non intende privarci di alcun dettaglio, sull’onda di quanto capita al protagonista principale, all’adolescente Tamura, che come vuole la sua età intende ribellarsi al padre, facoltoso e introdotto nella buona società, andandosene alla ventura con non più di un misero zainetto. Seguendolo passo passo, siamo portati a una continua documentazione di come si viaggia e si vive nel Giappone d’oggi, cercando di risparmiare soldi, di nutrirsi con poca spesa. Un turista volonteroso potrebbe adottare il romanzo come una guida per conoscere quali siano i piatti da ordinare, gustosi ma a buon mercato nello stesso tempo, e dove e come dormire. Siamo insomma in presenza di un diario improntato a un realismo minuzioso, perfino soffocante ed eccessivo. Ma da un altro lato comprendiamo che quella è solo una entrata nel labirinto, ci vengono indicate subito altre porte d’ingresso, per esempio sotto forma di un evento occulto e misterioso per cui alcuni ragazzini, condotti in un bosco in gita scolastica, vengono colti da una crisi inspiegabile che li fa entrare in un provvisorio letargo, da cui in breve si riscuotono, salvo uno di loro, tale Nakata. Inizialmente egli è il più dotato, ma da quella catalessi esce mutato in un essere menomato, privo di memoria, di intelligenza, anche se dotato di un intuito sicuro, di un istinto animalesco che gli consente, per esempio, di dialogare coi gatti. Quella magica sospensione si situa negli anni immediatamente posteriori alla caduta del Giappone nella guerra mondiale, e dunque si può sospettare un effetto deleterio esercitato da qualche “fortezza volante”. O si deve decisamente imboccare la pista della fantascienza? Ma la ricetta del nostro Murakami sta proprio in un continuo “avanti indietro”, la realtà più vile e prosaica è pronta a recuperare tutto il terreno perduto. Infatti verremo a sapere che quell’ inspiegabile “tempo morto” è stato suscitato, nei ragazzini, dalla vista delle bende del mestruo gettate via dalla loro maestra. Del resto un filo di sangue percorre l’intera vicenda. La fuga del protagonista adolescente viene assimilata a quella di un Edipo dei nostri giorni, inconsciamente sovrastato dalla minaccia sofoclea-freudiana, e dunque condannato a uccidere il padre e a congiungersi con la madre, nonché con la sorella. Si compirà questa tragica profezia? L’abilità del narratore sta nel mantenersi sempre tra il dire e il non dire. Sta di fatto che il padre, peraltro un truce individuo che si compiace di fare razzia di gatti randagi e di estrarne il cuore per cibarsene, viene ucciso con una coltellata. Ma da chi? Da Nakata, che nel suo semplicismo è divenuto il vendicatore di ogni torto, o dal figlio stesso, che aggirandosi in una foresta cade in trance risvegliandosi contrassegnato da macchie di sangue? Del resto, nella sua fuga egli giunge in un’isola felice, in una biblioteca privata, la cui direttrice però potrebbe essere proprio la madre che l’aveva abbandonato quasi in fasce, e prima ancora egli potrebbe essere stato accolto da una giovane provvidenziale con cui ha intrecciato una relazione sessuale, e potrebbe essere proprio la sorella, svanita assieme alla madre. Ma soprattutto è la “consecutio temporum” a rivelarsi ballerina, a costruite tutto un su e giù, basti dire che, nel bosco attorno alla serena biblioteca in cui ha trovato rifugio, il protagonista incontra soldati nipponici che vi si erano smarriti durante la guerra. La realtà insomma è discontinua, porosa, con tante porte d’entrata e d’uscita, e tanti “fermo immagine”. Se vogliamo rimanere alla cultura giapponese, gli effetti fornitici da Murakami ci ricordano il bellissimo film di Akira Kurosawa, “Sogni”, dove pure là un adolescente viola il divieto di guardare un corteo di santoni e ne risulta impietrito. O un ufficiale che tenta di recare in salvo i suoi soldati li perde tutti nella traversata di un tunnel, risucchiati dalle tenebre. Ma, tornando al nostro Occidente, anche presso di noi non hanno mai mancato di comparire simili circostanze “magiche”, si pensi ad Antonioni e alla sua “Avventura”, con la scomparsa per sempre di un personaggio, il che poi è stato ripetuto da Peter Weir in “Picnic a Hanging Rock”. Tra i più clamorosi interventi del magismo o irrealismo nella narrazione di questo romanzo c’è il fatto che a un certo punto dal cielo piovono sanguisughe, ma un altro regista ben occidentale come Robert Altman, in “America oggi”, nel 1993, aveva già inserito una pioggia di animali, imprevista, incongrua, estranea ad ogni legge di natura. E dunque, si dovrebbe concludere che esiste anche in narrativa una sorta di globalizzazione? Resta una differenza di numeri statistici, questi effetti, diciamo così, con termine abusato, surreali, presso di noi sono abbastanza rari, laddove nella strategia di Murakami si incontrano quasi ad ogni passo, scontrandosi abilmente con i segmenti di una realtà perfino troppo normale.
Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia, Biblioteca di Repubblica.

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