Arte

Zandomeneghi, impresssionista di complemento

Ci sono dei luoghi espositivi che mettono tristezza, solo a pensarci, per la certezza di vedervi cose inutili, retrive, già esposte tante altre volte in precedenza. Uno di questi è il Palazzo Zabarella di Padova, in gara con il San Domenico di Forlì, a chi ci faccia vedere spettacoli di cui faremmo a meno ben volentieri. Di questo genere è “L’impressionismo di Zandomeneghi”, ora propostoci dal museo padovano, sotto la guida dell’inevitabile Fernando Mazzocca, sempre fuori luogo e competenza, se ci si allontani dall’unica area in cui si muove con pieno agio, Francesco Hayez, mentre al di là di quella soglia egli agisce a ruota libera, venendo meno a ogni corretta dotazione critica. Purtroppo Zandomeneghi fa parte dei “tre di Parigi”, accanto a Giovanni Boldini e a Giuseppe De Nittis, ma come il peggiore dei tre, quello che può essere tacciato dell’accusa di aver tradito di più le ragioni di partenza, di un’Italia tutt’altro che matrigna, anzi, piena di validi umori, da mettere alla prova, e talvolta con vantaggio, sul fronte parigino. Ho appena finito, proprio in questi miei appunti solitari, di lodare il caso efficacissimo di Antonio Mancini. Quando lo Zabarella deciderà di riscattare le sue scialbe prestazioni mettendo in campo un vero talento nostrano, come appunto Mancini, capace di portare la guerra sulla Senna, invece che andarvi a fare le fuse come un buon gattone castrato, alla maniera di Federico? Non è che questa valutazione al ribasso debba valere per l’intero terzetto. Boldini, a Parigi, era andato a far scoccare le sue stoccate travolgenti, libere e sciolte, capaci di non lasciarsi irretire entro una livrea di conformismo. Più a rischio De Nittis, che in effetti si comportò come Zandomeneghi, almeno a livello di figure, dipingendo le sue damine, o le prime colazioni annegate nell’affetto sdolcinato di madre e figlio, ammorbidendo, aggraziando i tratti ben più duri e coraggiosi di un Degas. Ma l’artista pugliese-napoletano si sapeva svincolare da questo appuntamento con le scenette di genere, con i fasti della moda e del bon ton, quando si riservava certe spianate libere e informali, fossero giardinetti laterali, tratti di suolo vasto e incontaminato, insomma, luoghi da potervi compiere quattro passi nel disimpegno, quasi che anche nei Bois e nei boulevards parigini si potessero ritrovare le asperità non levigate delle pendici del Vesuvio. Invece no, Zandomeneghi non sbaglia un colpo, è sempre pronto a piazzare un musetto lezioso, una boccuccia spalancata quanto basta per esprimere soddisfazione di sé, o per canticchiare con tono appropriato qualche ben regolato motivetto, maneggiando con cauta eleganza le chicchere del servizio buono. A comandare le mosse c’è sempre qualche modista che dà i giusti consigli su come issare un copricapo ricco di fiori e frutti, e quindi rimirarsi allo specchio, con gesti misurati, e sempre con la consapevolezza che c’è un fotografo in scena, con cui si deve fare i conti, prendere le pose convenienti. Niente che esca dal seminato, che sorprenda, che renda omaggio a una realtà rugosa, capace di insinuare un po’ di disordine nella ripresa. Non ci sono rughe, in quella realtà, e neanche spine nelle rose. Del resto, a levigare, a pettinare, ci pensa il pastello col suo tratteggio fitto, sistematico, senza cesure, come una trebbiatrice metodica che si impadronisce di ogni soggetto e lo tritura quanto basta, per renderlo facile, assimilabile, digeribile. Purtroppo è come compiere un atto continuo di prosternazione, di omaggio servile, ai grandi, pulsanti, irrequieti modelli forniti da Degas e Renoir, così da fornire la eloquente prova del nove, se mai ce ne fosse bisogno, che noi poveri provinciali venuti dal di qua delle Alpi siamo serie B, incapaci di fare sul serio, costretti a una ripetizione che evita accuratamente si essere “differente”, ma che anzi si fa dell’ossequio trepido e servile un punto d’onore, un obbligo professionale.
L’impressionismo di Zandomeneghi, a cura di Francesca Dini e Fernando Mazzocca. Padova, Palazzo Zabarella, fino al 29 gennaio. Cat. Marsilio.

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