Letteratura

I due volti della Carati

Anche quest’anno la data di consegna dei miei “pollici” all’”Immaginazione” segue per pochi giorni la proclamazione del  Premio Strega, così mi sarà possibile fare la mia classifica, quasi di sicuro molto diversa da quella stilata dai votanti, tra cui io non sono mai stato considerato degno di essere ammesso. Ma so già chi a mio avviso dovrebbe essere il vincitore, sarebbe Veronica Raimo col suo Niente di vero. Buon per lei che i giurati non abbiano prestato la meritata attenzione  a Daniela Ranieri e al suo Stradario aggiornato ditutti i miei baci, che forse avrebbe meritato ancor più di riportare il primo premio. Ma intanto mi porto avanti col lavoro, parlando di un romanzo entrato nell’elenco dei finalisti, questa volta fatto addirittura di sette nomi.  Mi riferisco a Alessandra Carati e al suo e poi saremo salvi(Mondadori), venuto al punto giusto perché quella che ci parla in prima persona, Aida, inizia narrando di una fuga precipitosa dalle  persecuzioni che la Serbia infliggeva nel secolo scorso alle minoranze attigue. Il che ovviamente ci porta a fare subito un collegamento con le fughe dall’Ucraina cui sono costrette oggi tante donne e bambini, infatti i molti talk showes che si nutrono di queste vicende non hanno mancato di chiamare la Carati a fare inevitabili associazioni tra le due fughe. E certo questo romanzo ha una sua validità quando si nutre di simili vicende drammatiche, fughe di nottetempo inseguiti dai timori di una strage incombente, con rifugi  all’estero ma con lo strazio di lasciarsi alle spalle cari congiunti di cui si perdono le notizie, Per sua fortuna la protagonista, Aida, è protetta da un genitore, pare che anche da quelle parti si dica Babo. Il che rende meno amaro il rifugio, cercato proprio dalle nostra parti, a Milano e dintorni. Questa senza dubbio, almeno a livello di stretta documentazione, è una componente che ha una sua efficacia nel romanzo, anche se l’autrice, forse per aumentarne l’incidenza, imbroglia un po’ le sue carte, ingarbuglia le vicende, tra le varie andate e ritorni nel Paese delle origini, cosicché al lettore  non riesce di ricostruire un diario netto e ben ordinato di questi ritmi un po’ convulsivi. Ma la nota dominante è che la Carati non si è accontentata di ricostruire questo motivo di fuga dagli orrori di una guerra fratricida, ha inserito un motivo del tutto diverso, ricavandolo da un fratello della protagonista, di nome Ibro, affetto da  oscure sindromi patologiche che ne fanno una figura anomala, sempre in rivolta contro tutto, dedita ai vari piaceri, alcol, droga, a furti, a impeti di violenza, il che ovviamente comporta ricoveri, cure a base di farmaci. Il Babo e Aida vivono in uno stato di costante allarme per il comportamento imprevedibile di questo ragazzo. Difficile stabilire un collegamento tra le due fette di realtà che ci vengo offerte, difficile cioè stabilire un legame tra le turbe psichiche di Ibro e quei lontani fatti della sua infanzia, che però senza dubbio non gli hanno permesso di crescere in armonia con se stesso. Le due vicende si svolgono in parallelo, fino al suicidio del ragazzo, descritto con cronaca inesorabilmente fredda e fedele. Dopodiché, la Carati avrebbe dovuto considerare chiuso il suo racconto, invece lo ha voluto proseguire con poche pagine ulteriori, stanche e inutili.

Alessandra Carati, e poi saremo salvi, Mondadori, pp. 271, euro 18.

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