Ai Wei Wei
Finalmente il Palazzo Fava di Bologna fa una mostra degna delle sue tradizioni, dedicata al cinese Ai Wei Wei, considerato il numero uno della nuova ondata di artisti del suo Paese. Io a dire il vero non l’ho molto in simpatia, tanto che non gli ho dedicato un capitolo nel mio recente Protagonisti, Forse è il ricordo di un pessimo rapporto avuto con lui, quando nel 2003 mi ero recati a Pechino per scegliere gli artisti da ammettere alla mia Officina Asia, dell’anno seguente, dove assieme ai Cinesi c’erano anche i Giapponesi e i Sud Coreani. Nel mio primo soggiorno a Pechino le mie guide mi avevano portato trionfalmente nello studio d i Ai Wei Wei, già allora considerato il loro numero uno, che si era già distinto con una delle sue creazioni tipiche, la sovrapposizione di oggetti, che in quella prima versione erano dati da nudi femminili, appunto sovrapposti gli uni agli altri. Anche in seguito, e in questa mostra al Fava, uno dei pochi temi riconoscibili nell’eclettismo di questo artista sta proprio nel sovrapporre qualche oggetto, qui un intrico di biciclette che incrociano le loro ruote e raggi, oppure un’alta fila di vasi. Certamente Ai Wi Wei si ricorda delle sue origini orientali fabbricando dei mostri, come delle grosse gomene che prendono l’aspetto di esseri misteriosi carichi di miti. Oppure egli tenta di farsi delicato e di gareggiare addirittura col giapponese Murakami in un tripudio ornamentale rutilante di colori. E poi c’è la sfida ai valoro dell’Occidente, ma anche qui non con una autenticità assoluta, in quanto si limita a erigere contro i simboli del nostro potere il dito di scongiuro, ripetendo il gesto famoso, ma proprio per questo irripetibile, del nostro artista più noto. E ci sono pure numerosi interventi volti a dissacrare i mostri sacri dei nostri musei, da Leonardo a Tiziano a Raffaello. Allora, in quella visita, Ai Wei Wei mi disprezzò giudicandomi indegno di figurare nella selezione di suoi connazionali che stavo apprestando, non so bene se fu perché mi chiese una cifra insostenibile per il povero budget di cui disponevo, o perché gli sembrò che io fossi un critico sconosciuto, indegno di chi come lui ambiva salire i gradini del successo, come infatti in seguito gli è avvenuto. Devo ammettere che gli altri da me scelti non hanno raggiunto il suo livello di successo internazionale, e dunque quel suo rifiuto era anche sensato, ciò non toglie che io mi sia preso una piccola vendetta escludendolo dai Protagonisti a pieno titolo dei nostri anni.