Arte

Barocci, pittore deliziosamente ambiguo

Tra tutti i direttori di museo tirati fuori a suo tempo dal ministro Franceschini, pare coll’intento principale di fare incassare più soldi d’ingresso ai rispettivi istituti, la presenza più valida sembra essere stata quella di Elke Schmidt, alla testa di due siti del calibro degli Uffizi e di Pitti. Purtroppo, in pieno riconoscimento di questa sua validità, a quanto pare ce lo sta portando via un museo parimenti titolato quale il Kunsthistorisches di Vienna. Nella sua presenza agli Uffizi va riconosciuto a Schmidt, tra gli altri, il merito di aver concepito le sale monografiche dedicate ai massimi Leonardo, Michelangelo e Raffaello. A Pitti ora ha il merito di aver recuperato dai depositi un capolavoro, “La Madonna della gatta”, di quell’artista per eccellenza ambiguo, sospeso tra vari “ismi”, che è stato il marchigiano Federico Barocci (1535-1612). Su di lui vado a leggere il referto del bignamino dei nostri giorni, wikipedia, che lo dice artista sospeso appunto tra Manierismo, Controriforma e Barocco, con spreco di etichette che però ci stanno, a patto di precisarne portata e limiti. Manierismo? Sì, indubbiamente, se però specifichiamo che, data la sua data nascita, si trattava di un Manierismo addirittura di terza ondata, posteriore perfino a Tintoretto e a Jacopo Bassano, magari da allineare al numero uno di tutta quella congiuntura, al Greco, o, più modestamente, al nostro Pellegrino Tibaldi. Il tutto sull’onda del protomartire di quello stile, il Parmigianino. Si veda come le due figure laterali si inarchino mollemente, quasi per delimitare uno scrigno prezioso, entro cui si accalca una gremita serie di personaggi, ma tutti accartocciati su se stessi, proprio per dare il senso di un tesoretto, di un reliquario, di una cripta dove si custodiscono corpi raffinati. Da notare anche l’esistenza di un punto di fuga, di una specie di sfiatatoio che si apre sul fondo, come una finestrella affacciata su una più larga fetta di mondo. Al preziosismo di linee fa eco quello cromatico, con una tavolozza di colori accesi, ma senza essere affocati, deliziosamente arrestati sui malva, sui ciclamino, con un sentore autunnale, non certo estivo, o forse avviato a un notturno. Naturalmente, se come termini di paragone vengono presi i massimi Tintoretto e Greco, bisogna pur dire che il linguaggio del Barocci è più timido, sommesso, delicato. Ma allora, è il caso di far intervenire il secondo termine della triade scolastica emessa da Wikipedia, la Controriforma? Però se per questa assumiamo come massino teorico il Cardinal Paleotti, non so se gli sarebbe stato possibile approvare il troppo di eleganza e di sofisticazione che, seppur sempre in chiave sommessa, sussurrante, appare in questa tela. E forse anche la gamma cromatica sarebbe sembrata all’austero prelato troppo compiaciuta di sé, troppo fiorita. Il suo occhio dritto era il più anziano dei Carracci, Ludovico, con la perfetta immagine di una Annunziata, condotta davvero come un santino da distribuire al popolo più impreparato, senza il rischio di turbarne le ingenue credenze. E ci sta pure una menzione al Barocco prossimo venturo? Non del tutto, dato che proprio la sofisticazione tardo-manierista con cui questa scena risulta elaborata non entra a vele spiegate nel grande naturalismo secentesco, che del Barocco costituisce senza dubbio una delle facce. A introdurre in quella direzione ci pensano lo stesso Ludovico, e poi i cugini Agostino e Annibale. O diciamo anche che è una questione di anni di nascita, ci vuole almeno una ventina d’anni di più all’atto della nascita per essere davvero in grado di voltare pagina e di lasciarsi alle spalle il cadavere, seppur deliziosamente imbalsamato, del Manierismo, nelle sue varie declinazioni. Il Barocci se ne sta in mezzo, magicamente sospeso, con tutto il fascino insito negli artisti che non si adattano completamente ad alcuna delle caselle storiografiche.
Federico Barocci, Madonna della Gatta. Firenze, Pitti, Sala di Berenice.

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