Letteratura

Covacich, il vero batte il verosimile

Mauro Covacich è un assiduo lavoratore della penna, si sarebbe detto in altri tempi, oggi si dovrà dire del computer, già pronto a pubblicare una nuova opera a breve distanza dalla “Città interiore”, di appena due anni fa. Il suo “Di chi è questo cuore” appena uscito è sempre più lontano dall’oggetto che con qualche rispondenza si può dire “romanzo”, mentre costituisce un coraggioso passo integrale in direzione di quella che oggi si chiama “autofiction”, o magari se si ha il coraggio di far uso di un termine antiquato, autobiografia. Rispetto a cui il testo precedente costituiva ancora un tappa di avvicinamento, dove le confessioni stese in prima persona si accompagnavano a brani riferiti a personaggi mitici della città del cuore, Trieste, magari neppure visti da vicino, di persona, dalla voce narrante. Ora invece l’autore gioca a carte scoperte, con nomi in chiaro, perfino della sua attuale compagna, Susanna Tartaro, risalendo addirittura al padre di lei, Achille, di cui non è neppure oscurata la sua appartenenza alla categoria dei critici e storici della nostra letteratura. Ma, buttati via tutti gli schermi protettivi, Covacich si sa valere di valide chiavi per assicurare efficacia al prodotto risultante, cominciando subito con l’accordarsi un vivace saltabeccare da un’occasione all’altra, nel che trova i vantaggi del mestiere di giornalista che oggi accompagna validamente a quello di vero e proprio narratore, chiamato a mettere in piedi storie verosimili. Ora sfrutta invece l’enorme forza del vero, del visto, del sentito e sperimentato coi propri occhi, con la consapevolezza che pure nell’ambito di questi frammenti di verità può risiedere una forza drammatica, anche se magari abbassata nei toni. Non sono più insomma le “Anomalie” da cui era partita la sua carriera, sono fatti e fatterelli perfino troppo normali, ma raccolti con un’attenzione allo stato attuale dei costumi e della società condotta a tutto campo, a tutto giro, senza tabù e zone protette,, evitando in ogni caso l’enfasi, il cedimento ai buoni sentimenti. A cominciare da se stesso, e da quella menzione di un cuore contenuta nel titolo che farebbe scandalo se non si precisasse subito che è quello stesso dell’autore sottoposto, come oggi avviene quasi ad ognuno di noi, a un qualche intervento diagnostico. E c’è pure almeno un punto in cui il narratore indossa le vesti del detective, accostandosi a un fatto tragico, la caduta dall’alto di un giovane, non si sa se perché vittima di uno sciagurato atto di bullismo compiuto dai compagni, o da sue intenzioni suicide, o da un mero incidente. In altri momenti, o da parte di altri narratori, quest’episodio meriterebbe un’attenzione puntuale e monografica, ma non così nel presente esercizio, il cui conduttore si lascia ben volentieri trascinare da uno spunto all’altro. Non occorre un grande sforzo per spingere la nostra realtà quotidiana a farsi romanzesca, ci pensa da sola a provocare un tale effetto. Basta indagare su una madre anziana che invece di fare la calza “chiatta” con le amiche, e poi c’è tutto il capitolo dell’intervento a favore degli animali domestici, con riti curiosi, come quello dei bravi proprietari che ne raccolgono gli escrementi in sacchetti di plastica procedendo poi a cercare un cassonetto per disfarsi di quel carico. C’è da frequentare il cosmo dei diseredati, con le loro varie misure per concedersi momenti d’estasi con bevande di basso conio. Proprio perché Covacich in questa sua prestazione non intende affatto nascondersi, non manca di affrontare il capitolo delle interviste e presentazioni dei suoi libri che è costretto a concedere, rimbalzando da una località all’altra, e anche da un pranzo o una cena, coi relativi cerimoniali. Insomma, l’autore appare molto simile proprio a uno di quei diseredati di cui reca testimonianza, abituati a frugare nei bidoni del pattume per cercarvi qualche oggetto degno di interesse. Anche lui fruga nella infinita piattezza e banalità dei nostri giorni sperando di poterne estrare qualche gioiello splendente, qualche pepita aurea. Il rischio, diciamolo pure, è che un’impresa del genere possa essere tacciata con l’epiteto che ci siamo abituati a scagliare contro Emio Cecchi e i suoi “Pesci rossi”, ma in merito posso anticipare che ho appena steso un capitolo di una mia storia della narrativa italiana del primo Novecento in cui non ho certo salvato la Sor’Emilia, dato lo stato parsimonioso dei suoi raccontini, mentre sono stato largo di elogi verso le scintillanti epifanie scovate da Bruno Barilli e da Gianna Manzini. Ebbene, questo Covacich è in parte un loro erede, col vantaggio che ora trova a sua disposizione una sterminata distesa di “pesci rossi”, una pastura abbondante, quasi inesauribile.
Mauro Covacich, Di chi è questo cuore, La nave di Teseo, pp. 246, euro 17.

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