Attualità

Dom. 19-5-19 (Pd-M5S)

Qualche giorno fa la “Repubblica” ha ospitato un’intervista a Giuliano Pisapia, personaggio che non amo e contro cui mi sono già espresso. Ritengo che il suo rifiuto a ricandidarsi come sindaco di Milano rispondesse soprattutto all’intento di smarcarsi da una influenza renziana, a costo di far perdere alla sinistra quel Comune, cosa di cui il nostro Pisapia si sarebbe compiaciuto per il grave colpo che avrebbe inferto appunto al renzismo. Non era affatto la decisione di abbandonare la politica, anzi, di muoversi in una platea nazionale, sempre nel segno dell’ostilità verso quello che al momento appariva ancora il dominatore del Pd, cercando di schieragli contro tutti gli oppositori. Poi è entrato in scena un antirenziano come lui, l’attuale segretario Zingaretti, e allora a quel punto Pisapia non ha avuto più difficoltà a entrare nelle file del Pd, vedendosi subito premiato con l’offerta di un posto di capolista alle prossime europee. Col che, sia ben chiaro, l’esito di questo percorso per me è positivo, non avrei dubbio a votare Pisapia se mi trovassi nel suo collegio. Ma tra le risposte date in quell’intervista figurava un assoluto diniego circa la possibilità che il Pd in futuro potesse andare a fare un governo con i Pentastellati. Questo fino a poco tempo fa sarebbe stato balsamo per le mie orecchie, da renziano come continuo ad essere avevo plaudito alla sua uscita di porta per bloccare i tentativi allora in corso di attuare una alleanza in quel senso. Ora però confesso che avrei qualche dubbio in materia, fatta nascere dall’almeno apparente divorzio in atto in questo momento tra Salvini, sempre più di destra, e un Di Maio, che assume toni da difensore della sinistra. Forse è solo propaganda elettorale, a tutela delle proprie percentuali di voto. Purtroppo temo che l’esito del voto non cambi troppo le cose, la Lega forse perderà qualcosa, ma resterà pur sempre al 30%, i pentastellati risaliranno, ma non oltre il 22%. Morale della favola, dopo le aspre dispute di questi giorni i due fronti potrebbero constatare la convenienza di rifare l’accordo, in quanto Salvini non ha molta voglia di rientrare sotto la tutela di Berlusconi, e Di Maio e compagni non hanno sponde di altra natura. Inoltre un presidente pavido come Mattarella non avrebbe alcuna ragione per aprire una crisi, se non a seguito di un chiamarsi fuori di una delle due parti. Non dimentichiamo che nel 2011 Napolitano poté mandare via dal governo Berlusconi per tacito assenso della vittima, che era spaventato per la crescita dello spread, rovinosa per i suoi interessi privati. Ma qui, se nessuno dei due contraenti del governo “rompe” l’alleanza, Mattarella non si può intromettere. Si delinea la macabra prospettiva che i due, riedizione di un Bonnie and Clyde, uniti in un abbraccio mortale, trascinino il nostro Paese nel baratro. Ma in questo caso il Pd si potrebbe fare avanti e fornire a Di Maio e compagni una sponda per un cambiamento di governo, considerando appunto i passi da loro compiuti negli ultimi tempi verso un certo sinistrismo. E’ per esempio lodevole il loro rifiuto delle autonomie regionali, in base al giusto convincimento che non ci siano regioni di serie A e altre di serie B. Inoltre mi pare che non siano loro i difensori ad oltranza di un altro sciagurato proponimento leghista consistente nella flat tax, e anche sul fronte immigrazione sembrano più aperturisti. Quanto alla questione della riforma pensionistica anti-Fornero, ho già detto altra volta che dovrebbero intervenire i sindacati in dimensione europea, dialogando coi loro omologhi dei vari Paesi per stabilire un’età pensionabile buona per tutti, e non a discrezione delle singole nazioni, autorizzate a fare la gara a chi abbassa di più i termini di un provvedimento, che certo in termini di populismo ottiene facili consensi. Ma starebbe nella serietà di una politica sindacale andare a vedere fin dove in questa direzione ci si può spingere senza compromettere il bilancio pubblico. Una volta constatati i possibili punti d un accordo, ovvero di un contratto sui generis, a quel punto potrebbero essere i Cinque stelle a scalciare via l’accordo con la Lega e ad aprire una crisi, di cui però esisterebbe già una soluzione possibile.

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