Attualità

Dom. 7-3-21 (Fassino)

Naturalmente la maggiore notizia del giorno sono le dimissioni di Zingaretti da segretario del Pd. Non sarò certo io a dolermene, non ho mai creduto in lui, tanto da non votarlo neppure quando c’erano state le primarie a suo favore. E’ persona gentile e credo anche onesta, ma debole, mancante proprio di capacità politica quale invece è richiesta in un leader. Ho già elencato domenica scorsa i suoi errori, a suo tempo aver invocato di andare alle elezioni, giusto per far fuori il nucleo di deputati fedeli a Renzi, anche a costo di consegnare il Paese alle destre, come sarebbe accaduto, se l’unico talento della sinistra, Renzi, non avesse capito che bisognava evitare a ogni costo di andare al voto, meglio turarsi il naso ma fare l’alleanza coi Cinque Stelle. Poi, viceversa, Zingaretti ha accettato troppo quel vincolo, fino a compromettersi con la formula “Conte o morte”, salvo poi a ricredersi e ad accettare il governo unitario con Draghi. Penso che a spingerlo alle dimissioni, e a dichiararle definitive, sia stato proprio il sondaggio di lunedì scorso che aveva registrato un clamoroso smottamento di voti dal Pd ai Pentastellati, benché anch’essi in piena crisi, ma postisi sotto l’apparente ombrello protettore di Conte, Zingaretti forse ha capito i suoi errori di condotta, e non ha voluto essere colui che trascinava il partito, senza dubbio amato, a una debacle sul tipo di quella subita due anni fa dal detestato Renzi. E ora, che fare? Penso che una buona candidatura intermedia possa essere Fassino, nel ruolo di traghettatore verso un’assemblea e una nomina successiva, quando si potrà fare. Vorrei però osservare che i Pentastellati sono vittime di una crisi ben peggiore di quella del Pd, data la loro nascita qualunquista, ondeggiante tra destra e sinistra. E Conte, che è solo un rappezzatore, che potrà fare? Oltretutto è chiamato a dirigere un partito padronale, basterà un cenno di Grillo per mandare all’aria qualsivoglia tentativo del Giuseppi di portar fuori i Pentastellati da una crisi che ritengo irreversibile, come di qualsivoglia altra formazione sorta per occasioni contingenti, prive di lunga durata.

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