Arte

Dynys, una perfetta unione tra forma e colore

Seguo da parecchi anni l’attività di Chiara Dynys e sono sempre stato affascinato dalle doti di grinta, rigore, radicalità con cui lei è andata alla carica per conquistare alle donne artiste una parità di diritti e di riconoscimenti allo stesso livello dei concorrenti maschi. Il che non vuol dire affatto che le donne debbano cancellare l’appartenenza al loro sesso, verso una specie di prestazioni neutre, quasi con abolizione delle rispettive prerogative. Si sa che oggi prevale la per me pessima abitudine di eliminare l’articolo davanti ai cognomi, proprio in nome di una mal intesa unificazione di diritti. Tanti anni fa, quando collaboravo col “Corriere della sera”, ero intervenuto proprio per difendere la sopravvivenza di un simile attributo, come del resto imporrebbero le buone regole della grammatica, per cui io sarei “il” Barilli. Ma ammetto che ormai prevale la tendenza di togliere l’articolo per i nomi maschili, mentre permane , mi sembra, la buona regola di dire “il” Sanzio, “il” Caravaggio. Ma per le donne no, per favore, continuiamo a gratificarle di un articolo femminile, per cui la Nostra è “la” Dynys, Il che del resto corrisponde al suo modo di operare. Per un verso ha aderito fin dagli inizi a uno stile, se si vuole, tipicamente maschilista quale il Minimalismo, Infatti non conosco nessuna donna che si sia distinta in quella schiera, forse proprio perché in genere chi vi appartiene fa ricorso a materie solide, pesanti, metalliche. Invece il minimalismo di Chiara si accompagna a una squisita scelta di materiali deboli, fragili, soprattutto provvisti di un colore intrinseco, e dunque esibiscono a prima vista un persuasivo tratto femminista, quasi sull’orlo del kitsch. Peculiarità del genere valgono proprio per una mostra annunciata in apertura (ma è possibile che ciò avvenga, dati gli attuali veti?) tra pochi giorni alla Triennale di Milano, sotto un titolo pienamente propizio di “Vitrea”, cui la nostra artista partecipa con degli “Enlightening books”, proprio fatti di fragile vetro, che ostenta delle linee di spezzature, come fogli di carta pronti a sgualcirsi, a venire pieghettati. C’è tutta una tradizione cara alle avanguardie in materia di vetro, a cominciare da Duchamp, che del resto, tra le sue proposte estreme, si era fatto latore anche di quella di mettere in dubbio la sua appartenenza al sesso forte. In una mostra precedente a Napoli Chiara ha presentato una serie di composizioni forate, tramate di vuoto, come tanti mandala, ruote dentate, sopravvivenze di vetrate gotiche. Anche questa è un’eccezione tipicamente femminile alla quasi totale mancanza di colore di cui si sono compiaciuti, almeno negli anni giusti, i membri del consorzio minimalista al maschile. Mi pare che sempre nella rassegna milanese compaia anche una serie di lavori in cui gli oggetti sembrano liquefarsi a qualche fiamma, trasformandosi in bande pur sempre di un azzurro intenso, al limite del kitsch, se vogliamo, per una immersione quasi in piscina, con un voluto spirito naif, sottolineato anche da pesanti cornici, a un passo dall’ inquadrare semplicemente delle porzioni di vuoto, o dei fondi marini da cui estrarre preziose masse di ambra, un materiale del tutto rispondente alle esigenze della nostra artista.
Chiara Dynys, Libri luminosi, nell’ambito della collettiva “Vitrea”, a cura di Jean Blanchaert, Triennale di Milano.

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