Arte

Il Racconto rosso di Matteo Montani

C’è senza dubbio un ritorno alla pittura, che si esprime in tanti modi, in genere fuori dalla vecchia disputa tra astratto e figurativo, partecipando piuttosto all’attuale clima di eclettismo, all’insegna, come amo dire, del concetto stabilito da Deleuze e Guattari di “plateau”, di una sorta di spazio intermedio sospeso tra tante correnti opposte che si bilanciano. Un valido protagonista di questa situazione enigmatica e polivalente è Matteo Montani, non per nulla già da me inserito in “Officina Italia 2”, del 2011, realizzata con gli amici Guido Bartorelli e Guido Molinari, e posta proprio all’insegna di questo oggi dominante “mittelglied”. Montani ha avuto altri validi garanti, come Gabriele Simongini, che ha pure avuto il merito di associarlo, in una mostra, a un vecchio leone di queste soluzioni di mezzo, tra il figurativo e l’astratto, qual è stato nel corso dei decenni Vasco Bendini. Ora nel ruolo di prezioso sostenitore di Montani interviene quell’eccellente talent scout che è Fabio Sargentini, pronto a fare della sua terza sede, della rinnovata incarnazione dell’Attico, un antro magico dove si conducono operazioni giustamente poste nel segno dell’ambiguità, fuori di ogni conformismo. E si aggiunge anche, nel catalogo della mostra, la testimonianza di un giovane critico, Marco Tonelli, che sta bruciando le tappe di una agguerrita entrata in campo. Montani si è specializzato in strane visitazioni di fenomeni cosmici, sul tipo di aurore boreali, di albe e tramonti sorpresi dal bordo di qualche astronave errante nello spazio, dentro o fuori della nostra atmosfera. Ora ci presenta un “Racconto rosso”, come se il nostro mondo fosse stato invaso da una palude di vernice appunto rossa, ma scossa da cadute di meteroriti, che sollevano dal liquido da loro percosso degli zampilli elastici. Si pensa, ma in una opposta scala cromatica di assoluto candore, alle gocce del latte, quando siano esaminate al rallentatore per studiare le leggi della gravità. Questo gioco al rimbalzo, all’innalzamento di guglie, di fragili campanili liquidi, l’artista lo protrae, lo moltiplica, ne ricava un paesaggio incantato, come di città turrite, di architetture arcane, che però evitano con cura ogni forma di solidificazione per insistere nel loro molle ritmo di rimbalzi. Come un deserto scosso da energie del sottosuolo che premono per venire a galla attraverso tante sorgenti, sottili, insinuanti, rampanti, pronte a dare una scalata al cielo, per parte sua invaso da tenebre propizie, assai utili nell’evidenziare per contrasto quelle invasioni ignee, sulfuree. Ma una volta venute a galla e salite ad altezze vertiginose quanto precarie, queste lingue dardeggianti cambiano stile, cessa il loro motivo di minuta aggressione verticale, come di tante agopunture praticate con siringhe dal minimo calibro, quasi per nascondere le ferite che malgrado tutto intendono infliggere. Salita in cielo, la materia liquida si raggruma, si rassoda in morbide masse, in nastri sontuosi, avvolgenti, rapinosi, che volendo potrebbero calarsi e smorzare tutto quel minuto dardeggiare di spilli che li minaccia dal basso. Il dipinto, insomma, si muta in un ampio scontro tra motivi verticali e altri invece maestosamente orizzontali, pur nella comune accettazione del “rosso” dominante, esteso a unificare questo animato balletto, a cui conviene un motto proverbiale, “e pluribus unum”, di cui si valeva un lontano progenitore di queste sinuose e intriganti calligrafie, Mark Tobey.
Montani, Racconto rosso. Roma, Galleria l’Attico di Fabio Sargentini, a cura di Marco Tonelli, fino al 20 gennaio. Cat. De Luca.

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