Cortina d’Ampezzo difende molto bene soprattutto nell’arte la sua tradizione di centro culturale con una serie di gallerie che dalle sedi nazionali mandano quassù le loro propaggini. Su tutte si impone la Galleria Farsetti del Fratelli Frediano e Franco con relativi figli, che già da molti anni hanno fatto un investimento favoloso acquistando come loro sede la stazione storica della funivia che un tempo portava a Pocol e al Sacrario dei Caduti nella Grande Guerra. E’ un edificio in gradevole stile d’epoca, con enormi spazi sotterranei. Il Comune cortinese ha posto parecchi bastoni tra le ruote ai due intraprendenti galleristi, pretendendo che gli cedessero buona parte di quegli spazi per ricavare nel sottosuolo un garage. Ma ora la palazzina può aprire in tutto il suo splendore, e con un’ottima veduta sul panorama circostante, Becco di Mezzodì, Croda da Lago, e tante sale all’interno, cinte da pannelli di limpida trasparenza, invasi dalla luce. Per celebrare questa piena apertura la Farsetti propone quest’anno una maestosa mostra di Gino Severini, degna di quella del centenario dalla nascita dell’artista che io ho avuto l’onore di condurre, nel 1983, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti. Ma anche se questo omaggio è tenuto in uno spazio privato, vi si possono ammirare in pieno le varie maniere attraverso cui il nostro inesauribile maestro è passato, dagli inizi romani, allievo di Balla assieme ai coetanei Boccioni e Sironi, poi il primo ad avere il coraggio di trasferirsi a Parigi, dove ebbe subito il sentore dell’arrivo del Cubismo, invitando gli amici milanesi, con Boccioni in testa, a fare una capatina nella Ville Lumière dove si stavano stendendo i canoni di quello stilnuovo, di cui divenne lui stesso un seguace, ma immettendovi anche un innato spirto di leggerezza, come risultava dal fatto stesso che il suo tema preferito fosse la danza, con tanto movimento, felicità di gonne spiegazzate, piene di lustrini. Insomma, il linguaggio fin tropo plastico del Cubismo era da Severini trattato con mano leggera. Poi è stato forse il primo, nel 1916, a capire che era tempo di fare macchina indietro, di recuperare le movenze classiche del passato, ne venne quella magnifica “Maternità” dove la moglie, Jeanne, ostenta un figlioletto, poi purtroppo scomparso, ma ben presto sostituito da un’atra figlia, Gina, che fu l’oculata amministratrice delle fortune del padre. Il quale continuava nel suo felice polistilismo, divenendo un testimone principale dello spirito Novecento, in collusione con l’Att Déco, e con un tripudio di maschere della Commedia dell’arte, quali si possono ancora contemplare sui muri di una dimora a Montegufoni, alle porte di Firenze. Fra l’altro, questo Severini intonato alla “mode rétro” divenne anche un campione di muralismo, di affreschi parietali. Ma non era finita, infatti all’arrivo del dopoguerra egli intuì che ripartiva una specie di Nuovo Futurismo, che i tempi richiedevano di nuovo il linguaggio rigoroso, geometrico, rettilineo dell’astrazione geometrica. Che però in lui fu sempre come di un giocatore al biliardo, pronto a far compiere al boccino delle carambole, sbattendo contro gli spigoli del banco. Severini insomma ci ha dato un superbo compendio di tutti gli stili, dal nostro passato remoto alle svolte più recenti. Chiunque sia presente a Cortina non può sottrarsi al dovere di una devota visita a questa mostra spettacolosa.