Letteratura

L’acqua di Malaguti non sempre ride

Ricevo da Einaudi il romanzo “Se l’acqua ride” di Paolo Malaguti, un quarantenne di cui non so nulla. Si dice che a caval donato non si guarda in bocca, ma in circostanze del genere ritengo invece mio dovere andare a vedere, fare una sorta di tampone all’oggetto arrivato. L’esito non è del tutto favorevole. Per dirla secondo una formula che mi è consueta, posso accreditare a questo “Se l’acqua ride” un realismo connotabile con un solo “neo”, e non con i due che spettano a narratori disposti a misurarsi nell’aperto pelago dei nostri anni, Invece Malaguti adotta una curiosa formula, indietreggia alla metà dei trascorsi anni ’60, quando lui stesso non era ancora nato, e dunque non si tratta di racconto in presa diretta, ma neppure di narrazione storica. L’autore ha saccheggiato un tesoro di memorie di famiglia? Perché insomma legarsi a una simile misura cronologica intermedia? Anche il titolo lascia dubbi. Infatti il protagonista, Gianbeto, è avviato dalla famiglia a una esistenza sull’acqua, nei canali che dal Veneto vanno a concludere nella Laguna di Venezia, a bordo di un barchino condotto da un nonno tiranno, di nome Caronte, che però non ha proprio la cattiveria infernale o il carattere di giudice tremendo e inesorabile come parrebbe essere suggerito dal nome. E’ tuttavia un implacabile padre- padrone che sferza il nipote, lo sottopone a ogni prova di resistenza fisica e psichica, tanto da fargli dubitare se non sia meglio seguire il diniego opposto dal padre e andare a lavorare in Fabrica. Proprio così, detto con una “b” sola, come traccia della pronuncia dialettale, che è lo strumento da cui il nostro narratore conta di ricavare margini di originalità per la sua vicenda, sottraendola dalle secche di un neorealismo tradizionale. In effetti la parlata dialettale movimenta senza dubbio il racconto. Così come, a livello di trama, provvede l’acqua del titolo, che è ben lungi però dal “ridere”, o quanto meno lo fa in rare occasioni, molto più spesso è fonte di guai, attraverso piene, temporali, altri pericoli e ostacoli. Anche perché il battello di nonno Caronte è già desueto, pur alla data lontana dei ’60, quando ormai in genere i battelli vanno a vapore, e anche i mulini si sono rinnovati con qualche progresso tecnologico. Ma sembra proprio che il nostro Malaguti sia determinato a porre la sua piccola imbarcazione sulla scia del maestoso galeone a suo tempo apprestato da Bacchelli, “Il mulino del Po”, non si sa bene con quale profitto, anzi, mi pare che non ce ne sia alcuno. Anche se, entro i limiti accertai, di una ricostruzione sia dialettale sia di sistemi di vita ormai lontani da noi, il romanzo ha una sua grazia e autenticità, che si riscontra anche nelle pagine riguardanti il sesso, con le prime esperienze del nostro argonauta, tra dubbi, incertezze, fallimenti, con una carta nautica che si colora dei riflessi dell’attrazione amorosa per le varie fanciulle incontrate in rotta. Ma anche per questo aspetto, se l’acqua talvolta ride, altre volte, e forse più di frequente, piange, per delusioni, speranze infrante, ritorni a una dura realtà prosaica.
Paolo Malaguti, Se l’acqua ride”, Einaudi, pp. 183, euro 18.50

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