Letteratura

Mario Rondi ancora tra prosa e poesia

Ho ricevuto il ponderoso manoscritto di un romanzo che forse Mario Rondi procederà a stampare, voglio darne subito recezione ricollegandomi a commenti già svolti, e proprio in merito a un autore così prolifico, e così utilmente attivo alla frontiera tra prosa e poesia. Beninteso, non si tratta di un caso banale e stucchevole di prosa lirica, o piattamente memorialistica, nulla di ciò, e siamo ben lontani dai tentativi di rilanciare formule del genere che oggi si richiamano alla cosiddetta “autofiction”. Rondi, anche nella narrazione, si vale della prerogativa usualmente concessa alla poesia di procedere in totale libertà, di “saltare di palo in frasca” come anche si dice. Soprattutto, egli si sente esente dalla schiavitù della trama, della progressione verso qualche esito o porto sicuro, prefissato. Tutto può succedere, in questo scartafaccio affidato all’estro più sciolto e incontenibile. Il titolo, “Il canto del lui”, potrebbe far sospettare qualche piega liricizzante, ma ci pensa il “lui” a imporre le proprie più libere e disinibite esigenze. E’ una rotta che incontra sulla sua strada tanti oggetti, ovviamente di cattivo gusto, un pappagallo fin troppo invadente e ammaestrato, col nome serioso di Cornelio, una donna-robot, anch’essa dal nome ironicamente impegnativo di Ermenegilda, e si profila pure una, altrettanto improbabile nel nome, Domitilla. Un narratore serio deve guardare davanti a sé, rigare dritto, evitare il più possibile le piste laterali, le divagazioni, le distrazioni, viceversa il nostro “lui” è sempre pronto a cogliere dati accidentali, a incantarsi o smarrirsi dietro sollecitazioni e incontri del tutto casuali. In questi giorni è riapparso in scena il capolavoro narrativo di De Chirico, “Ebdomeros”. Purtroppo in proposito io ho avuto il torto di non menzionarlo quando, nel 1967, in un saggio Feltrinelli avevo avuto il merito di capire che si parava all’orizzonte un ritorno all’”azione”, nel senso dell’intreccio, purché questo fosse affidato al colpo di dadi, a una falsa simulazione di rotta sicura. In seguito però mi sono ampiamente ricreduto, se si va al mio saggio “Tra presenza e assenza”, che dovrebbe rivedere la luce presso le edizioni Mimesis, solo che si allenti questa atmosfera di blocco totale di ogni iniziativa, si potrà constatare che ho pienamente rimediato a quella lacuna. Ebbene, il nostro Rondi procede allo stesso modo, come un corpo in stato di imponderabilità, prosciolto cioè da obblighi diegetici. Ogni spunto è buono per consentirgli di dirottare, di svoltare per strade incognite, che tali sono anche al “lui” cui è intestato l’intero percorso, forse il primo a stupirsi delle deviazioni incontrate a ogni passo. Il tutto, se si vuole, ci ricorda l’esperienza onirica, quando, è mia convinzione, siamo tutti grandi creatori di trame, che sarebbero da raccogliere religiosamente sia in versioni scritturali sia in termini visivi. Ma purtroppo, come si sa e si dice, i sogni muoiono all’alba, però c’è chi riesce a ricostruirli anche a occhi aperti, e il nostro Rondi appartiene a questa fortunata categoria.

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