Letteratura

Murakami, un secondo tempo interlocutorio

Ovviamente mi sono precipitato ad acquistare la seconda puntata della trilogia “L’assassinio del commendatore” concepita dallo scrittore giapponese Murakami Haruki, ma devo dire che l’ho trovata abbastanza interlocutoria, fatta quasi per “allungare il brodo”, però con la cura di rimandare a un terzo momento la soluzione dell’enigma di base, concernente proprio quell’omicidio annunciato nel titolo, e a suo tempo rappresentato in un enigmatico dipinto dall’artista Amada Masaiko, quando si era trovato a vivere, nella Vienna ormai in preda ai furori del nazismo, un truce quanto misterioso fatto di sangue. Se non sbaglio, in questa puntata intermedia non ci sono nuove “entrees”, ma taluni personaggi già visti nel primo tempo vengono senza dubbio messi a fuoco con maggiore precisione, pur sempre in quell’affascinante, ma anche ingannevole “mix” tra un precisionismo minuzioso e invece abili inserimenti di atmosfere di sospetto, di minaccia, di incubo. Assume maggior consistenza in primo luogo Menshiki, l’enigmatico vicino di casa del protagonista, il quale se ne sta installato in una dimora di Masaiko, l’autore del dipinto in oggetto. Menshiki, possessore di una ingente fortuna, non si sa bene come acquisita, si è potuto permettere una principesca dimora nei pressi della residenza di chi ci parla in prima persona, e forse ricordiamo che si era rivolto a lui per chiedergli un ritratto, suo e di una fanciulla, Marie, che vive in un’altra dimora, sempre in quelle vicinanze. Domina su tutto una trama di paternità sospette, come del resto è comune all’intero ambito dell’attuale narrativa, dove compaiono le famiglie “aperte”, con donne dalle relazioni multiple, con possibili sospetti sulla autentica paternità dei figli che ne nascono. Infatti questo misterioso vicino crede di essere il padre di una deliziosa adolescente, Marie, ufficialmente figlia di un altro residente, in quel borgo animato da tante creature e fantasmi. Marie dunque viene per posare dal nostro ritrattista ufficiale, accompagnata da una zia in funzione di badante, tale Shoko, sfiorita zitella ma ancora disponibile a stringere relazioni, come avviene proprio nei confronti di Menshiki. Altro elemento apprezzabile della vicenda, la comparsa di un vecchio amico del protagonista, figlio del grande pittore, che per parte sua è orami invecchiato, relegato in un ospizio. Come sappiamo, Murakami è sempre pronto a scantonare da una dimensione di gretto e minuzioso realismo, che non salta nessun dettaglio per quanto riguarda il cibo, le cene, i lunch, i breakfast, o anche gli incontri sessuali. Gli appetiti sensoriali e sessuali vengono abbondantemente soddisfatti. Ma da questa dimensione volutamente mantenuta piatta, raso-terra, si staccano delle incursioni nei regni dello spiritismo, che lo scrittore tenta di mantenere in sospeso tra il sì e il no, tra una decisa concessione allo spiritico o invece qualche cauto ritorno alla realtà comune. Proprio quando il nostro eroe è in visita presso l’anziano pittore, da cui non può più venire la luce sulle ragioni di quel lontano dipinto, compare la proiezione proprio del commendatore, posta in bilico tra un fantasma concettuale e qualche residuo legame con una realtà materiale. Sta di fatto che, quasi preso per mano dal fantasma volonteroso, il narrante intraprende un lungo cammino per cunicoli misteriosi, fino a ritrovarsi recluso nella cripta che costituisce un po’ la scena madre di tutta la storia, una tomba da cui ancora una volta lo salva il vicino Menshiki. E c’è anche un altro viaggio in territori sconosciuti, che riguarda il personaggio fresco e positivo di Marie. Come si sa, Murakami tiene sempre un occhio rivolto alle trame dei maggiori autori del nostro Occidente, pronto a fare dotti riferimenti a Dostoevskij, a Kafka, a Proust. Non mi pare invece che tra questi autori venga mai menzionato Oscar Wilde, ma certo l’arcana scomparsa e riapparizione di Marie corrisponde da vicino ai “quattro passi nel delirio” che una sua coetanea compie in un delizioso racconto di Oscar Wilde, in quanto sequestrata dal “Fantasma di Canterville”. Qui le carte di ogni gioco sono sempre imbrogliate, lo scrittore nasconde eventuali tracce di ripetizioni e concomitanze, del resto i percorsi si incrociano, in quanto risulterà che Marie, nella sua apparente fuga, si era rifugiata proprio presso l’inquilino numero uno del mistero, Menshiki, permettendoci così, al suo seguito, di effettuare una accurata ricognizione nel suo enorme immobile, pieno di tante stanze. Ma al solito non scopriamo alcun mistero in esse, almeno non in misura esplicita. La penombra è abilmente mantenuta ovunque, in alternanza al troppo di luce cruda gettato su ogni dettaglio marginale, quasi per distrarci. Tra i personaggi che in questa seconda puntata balzano in primo piano, più che l’anziano pittore cui si deve l’aver eseguito il ritratto “matriciale”, conta il figlio, che è il tramite tra lui e il protagonista numero uno, il quale oltretutto gli porta notizie della moglie, di Yuzu, che, come ricorderà ogni lettore della prima puntata, lo aveva abbandonato, a favore di un diverso partner. Ora l’amico lo avvisa che l’ex-moglie è incinta, e qui di nuovo scatta uno di quei misteriosi rapporti virtuali, “concettuali”, a distanza, infatti viene insinuato che il fecondatore potrebbe essere stato il protagonista stesso, in una notte in cui ha sognato una relazione sessuale con la moglie del passato. Diciamo pure che un altro tratto di queste peregrinazioni sta in una loro circolarità, per cui nulla esce mai definitivamente di scena, ma i personaggi rimbalzano, rigettati a recitare di nuovo alla ribalta. Vedremo con quali ingredienti e attrazioni l’autore riuscirà a rimpolpare a sufficienza l’ultimo atto del suo trittico.
Murakami Haruki, L’assassinio del commendatore. Libro secondo, Einaudi, pp. 434, euro 20.

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