Arte

Omaggio al David di Donatello

La visita virtuale di oggi osa rivolgersi a un classicissimo, al David di Donatello, nella versione bronzea conservata al Bargello di Firenze, che pare celebrare i sei secoli dalla nascita. Donatello è uno dei due terminali dell’eccellenza assoluta che spettò a Firenze per tutto il Quattrocento e oltre, nell’ambito della scultura, avendo l’altro estremo in Michelangelo, posto peraltro a scavalcare abbondantemente quel secolo. Se la Toscana per tutto il XVmo secolo dovette misurarsi con la pittura fiamminga, e anche con l’ombra del tedesco Dürer, in ambito plastico non conobbe di sicuro quella rivalità, e poté anche vantarsi di una assoluta varietà di proposte. Fra l’altro, osserviamo quanto la solita etichetta di Rinascimento risulti stretta, insufficiente per coprire davvero la grandezza dei due, che oltretutto ebbero il compito di spartirsi non solo i titoli di eccellenza, ma anche quelli di una totale differenza di soluzioni. Facendo un ricorso magari indebito a termini attuali, diciamo che Donatello fu un campione di anoressia, l’altro invece di incontenibile bulimia. Il primo modellava i corpi in forme asciugate, fusiformi, attenuandone il rilievo plastico col coprirli di indumenti. L’altro invece mirava alla sacralità del nudo, pronto a fare massa su se stesso, a gettare via ogni inutile orpello o complemento. Proprio il David che suscita queste mie righe è un campione di snellezza ed eleganza, quasi un figurino di moda, impreziosito dai riccioli che spuntano morbidi, fluenti sotto un estroso copricapo. Nella versione precedente, in marmo, Donatello aveva provveduto ad avvolgere l’eroe adolescente in manti, in pieghe. Si aggiunga anche la ben nota abilità donatelliana, sempre al fine di attenuare l’emergenza tridimensionale dei corpi, nel proiettare le scene sul piano, attraverso il suo famoso “stiacciato”, di cui invano cercheremmo qualche aspetto analogo nel Buonarroti, il quale però, se voleva rientrare a distendersi sulla superficie, poteva valersi della pittura, che in fondo era il suo modo di schiacciare i corpi, portandoli a dilatarsi nell’impatto sulla parete. Donatello, se non sbaglio, non ha mai coltivato la pittura, ma non ne aveva bisogno, dato che, volendo, poteva ridurre la pretesa dei corpi di darsi in aggetto portandoli a formati ridotti, ma d’altra parte senza privarli dell’energia di cui fornivano valide prova le opere compiutamente tridimensionali, Uno dei capolavori donatelliani è la Cantoria che si conserva nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, dove le figurette, miniaturizzate, violano però le colonnine che vorrebbero imporgli un ordine, fanno trascorrere la loro corsa esagitata al di là delle inutili sbarre di contenzione. Un artista meno geniale di lui, Luca della Robbia, chiamato a un esercizio analogo, rispetta invece con diligenza la scansione imposta dall’elemento architettonico, obbliga le figure a non varcare quelle soglie. Naturalmente è il Santo di Padova il luogo in cui Donatello mette alla prova fino in fondo la sua sfida a una delle supposte leggi della scultura, portando invece il suo “stiacciato” a gareggiare con esiti pittorici di scene affollate, infinitamente ricche e animate nei dettagli. Sempre pronto però a compiere pronte mosse di risarcimento, di rientrare cioè in un pieno esercizio della tridimensionalità, come avviene, sempre a Padova, nella scultura equestre dedicata al Gattamelata, per un verso “statica”, immobile, monumentale quanto mai, ma anche con tanta superficie da graffire, da animare con sapienti motivi quasi decorativi. E così, continua il cimento con la pittura, quella statua equestre risulta del tutto equipollente a quanto, nel Duomo fiorentino, Paolo Uccello affida all’incedere ugualmente massiccio del suo Giovanni Acuto. Toccherà al Verrocchio e al suo veneziano Colleoni, cancellare quei segni di titillamento della superficie, per ricompattare l’immagine, avviandola verso una terribilità più confacente al tema, e così tendendola verso gli esiti generosamente bulimici, non solo di Michelangelo, ma anche del suo apparente rivale Leonardo. Quanto all’anoressia, alla povertà o castità congenite di Donatello, vale la pena di ricordare, come correzione all’eccesso di eleganza del figurino David, la ruvida, cenciosa immagine della Maddalena, oltretutto sbozzata nel rozzo e volgare legno.

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