Letteratura

“Romnzo siciliano”, dalla Radcliffe alla Austen

Ricompare, in traduzione italiana, “Romanzo siciliano” di Ann Radcliffe (1764-1823), la ben nota scrittrice inglese cui si devono alcune delle più celebri opere del cosiddetto romanzo “gotico”, storie di indicibile orrore, da lei stese sul finire del Settecento. Quest’opera era già apparsa presso Sellerio nel 1991, ma devo ammettere che mi era sfuggita, del resto non è certo la prova migliore di questa autrice, appare ben più importante il successivo “L’italiano”, detto anche “Il confessionale dei penitenti neri”. Però, forse è proprio a questo romanzo, in sé immaturo, approssimativo, farcito di motivi improbabili, che si era ispirata Jane Austen (1775-1817) quando aveva esordito la sua straordinaria carriera intendendo prendere le distanze proprio da quel filone allora dominante, stendendo a sua volta “L’Abbazia di Northanger”. Infatti il tratto dominante della vicenda “siciliana” della Radcliffe sta in una presenza misterica racchiusa nelle stanze segrete di un enorme castello insulare, feudo di una famiglia portatrice di un nome poi destinato a ben altra gloria, Mazzini. Ma ovviamente l’ideatrice di quella storia non poteva immaginare quale peso esso avrebbe assunto nelle vicende di casa nostra, anche con collegamenti al suo stesso Paese. Da certe stanze vengono rumori di passi e altri segni inquietanti di qualche presenza, il che porta alla scoperta che l’infame castellano vi ha rinchiuso una prima moglie, dichiarandone la morte per poter convogliare a seconde nozze. Toccherà ai figli della disgraziata riscoprirla e riammetterla ai perduti onori. Forse stuggiva alla Austen che in quel suo atto iniziale andava a svolgere un ruolo assai simile a quello di Cervantes, quando col “Don Chisciotte prende congedo dal romanzo medievale-cavalleresco per aprire al “moderno”, a vicende pronte a subire un impatto duro e crudo con la realtà, così dando inizio alla grande stagione della narrativa moderna. In modo simile, anche la Austen, in quella sua “opera prima”, prende congedo dal romanzo neomedievale o gotico mettendo in campo un personaggio che a tutta prima ne subisce per intero il fascino. Infatti la giovane protagonista viene invitata proprio in un castello molto simile a quelli cari alla Radcliffe, di proprietà di un nobile, padre di un aitante giovane di cui la fanciulla è invaghita, e dunque le pare di toccare il cielo con un dito sentendosi chiamata a trascorrere una vacanza in quel luogo fascinoso, però con la congiunta ammonizione a non penetrare in stanze ermeticamente chiuse. Da qui il ricalco del copione “gotico”, la convinzione che anche quel padrone di casa vi tenga rinchiusa una moglie di cui non ha avuto il coraggio di disfarsi. Di conseguenza la giovane si sente autorizzata a violare l’interdizione, il che però sembra suscitare la collera smodata del signore del luogo che non esita a rimandarla ai parenti con ignominiosa espulsione. Ma a ben vedere siamo al congedo da tutto quel mondo, la “modernità” si riprende tutto il terreno perduto, con la sua logica ben diversamente pedestre e volgare. Il castellano scaccia la fanciulla non perché lei abbia violato segreti nefandi, ma per una motivazione ben più prosaica, per un’indagine patrimoniale attraverso cui l’astuto castellano ha scoperto quanto la famiglia della ragazza sia di scarse risorse, così da non costituire un buon partito per il figlio. L’economia, la grande leva del “moderno”, ha fugato da sé i fantasmi del “gotico” imponendo una logica ben più stringente. A voler completare il percorso, diciamo però che la Austen, nei suoi capolavori, sarà capace di respingere a loro volta i pregiudizi del “moderno” verso una ben più equa ed aperta attenzione alle autentiche ragioni del cuore.
Questo comunque il ruolo da riconoscere al “Romanzo siciliano” in questione, di aver provocato la divertita, arguta reazione di una scrittrice di ben altro avvenire, rispetto alla Radcliffe, che però non è certo da licenziare con gesto di ingiusta superiorità. Devo riprendere in merito un argomento già da me fortemente sottolineato, quando ho steso il mio “Dal Boccaccia al Verga”, ovveroa esaminare le fortune del moderno nella narrativa italiana, con un passaggio centrale nei “Promessi sposi” manzoniani. Non si capiscono le pagine dedicate alla Monaca di Monza, al ricovero di Lucia nel monastero della mala badessa, al suo successivo rapimento da parte dell’Innominato, con la notte da incubo passata nel suo castellaccio, se non si tengono presenti proprio gli spunti affini suggeriti dalla Radcliffe, che non sono tanto le vicende eccessivamente fosche e irreali del “romanzo siciliano, quanto quelle più complesse e meglio circostanziate dell’”Italiano”. Ovviamente, anche Manzoni ha ricalcato il copione già seguito dalla Austen, cioè ha riscritto la romanzesca trama “gotica” secondo le esigenze della modernità in arrivo, ma fermandosi lì. Cioè, a un confronto finale, la Austen risulterebbe più avanzata rispetto al nostro autore, essendo lei già capace di inoltrarsi verso il “contemporaneo”, col suo bisogno di libertà nei sentimenti, mentre il Manzoni è solo il vigile tutore di un mondo in cui la legge abbia davvero il suo corso, magari con l’aiuto della Provvidenza.
Per finire con questi “quattro salti” tra passato e futuro, ammettiamo pure che il gusto per il “gotico”, per vicende kitsch strampalate ed eccessive, non è morto certo per effetto delle reprimende, “moderne” o “contemporanee” che siano, messe in atto dalla Austen e da Manzoni. Se penso a tutto l’uso e abuso che oggi si fa del romanzesco nero connesso con storie di mafia, sia nel cartaceo quanto soprattutto nel film e in TV, se in particolare penso a un prodotto come la “Paranza dei bambini” e alle sue nefandezze esagerate che ci propina un falso propugnatore di nobili ideali quale Saviano, ammettiamo pure che il romanzo gotico o nero è tornato tra di noi.
Ann Radcliffe, Romanzo siciliano, Vicenza, Superbeat, pp. 205, euro 14.

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