Letteratura

Rovatti e le incoerenze di “Aut aut”

L’”Espresso” , come mi è già capitato di dire, ora è divenuto una cosa meschina, che per sopravvivere deve inserirsi in “Repubblica”, affidandosi a due eredi di Gino Bartali e del suo “Gli è tutto sbagliato, tutto da rifare”, che sono in combutta l’attuale direttore, Da Milano, e Cacciari, sempre pronti a fare la ramanzina a una sinistra colpevole di ogni sbaglio e mancanza. Uno dei guai è la quasi totale sparizione dalla rivista degli articoli e rubriche dei cultura, che nei tempi di gloria ne costituivano uno degli aspetti migliori, come può ben dire uno come me, collaboratore per un quarto di secolo alla rubrica dell’arte. Tuttavia di tanto in tanto qualcosa di valido si trova, per esempio nel numero dell’8 agosto c’era un articolo di Pier Aldo Rovatti, attuale direttore di “Aut aut”, che rivendicava la coerenza e la continuità di quella rivista, Cosa impossibile, non si resiste per tanto tempi se non partecipando agli inevitabili mutamenti del clima culturale. Non so quante delle svolte impresse proprio da Rovatti il fondatore Enzo Paci avrebbe potuto approvare. Come si sa, Paci è stato il principale sostenitore in Italia della fenomenologia di Husserl, fino a divenirne un maniaco propagatore, con l’alibi del famosi inediti di Lovanio, a suo dire un inesauribile fondo di scoperte da cui trarre ogni bene. Io ero su quella medesima onda, e dunque mi vanto di essere stato in piena sintonia con Paci, anche per merito del mio maestro Aneschi, suo stretto collega. Bei tempi, quelli, in cui per esempio lo stesso Umberto Eco, già insediato nel prestigioso soglio della Bompiani, mi invitava a collaborare a un dizionario di filosofia in cui, diceva, ci saremmo occupati di filosofi davvero attuali, come Husserl e non di presenze dubbie come quella di Heidegger. Paci e Anceschi erano figli di Antonio Banfi, che aveva predicato l’abbandono di ogni tesi dogmatica, considerando vane e insostenibili le pretese “forti” tipiche di tanti sistemi filosofici. Mi sembra che dichiarazioni come queste potessero essere considerate l’antefatto di un pensiero “debole”, cui poi Rovatti ha acceduto, in compagnia con Gianni Vattimo, ma senza ricordare minimamente il precedente banfiano. Inoltre al padre Husserl questo tandem è stato pronto a sostituire proprio Heidegger, non so con quanto gradimento di Paci dall’altro mondo. E poi ancora quanti altri inevitabili tradimenti, come il rendere doverosi omaggi ai “nuovi filosofi” francesi, Derrida e compagni, sostenitori di una specie di culto a oltranza della scrittura, in un’epoca come la nostra in cui l’oralità prende una solenne rivincita sulla grafia e sul cartaceo. Io sono una persona di ferrea coerenza, forse come tratto di mediocrità, si dice infatti che solo i mediocri non cambiano idea, infatti Umberto Eco, che ha cambiato indirizzo circa ogni decennio è forse proprio per questo un genio, mentre io, condannato alla mediocrità, pubblicavo nel ’74 “Tra presenza e assenza,” dichiarandomi un sostenitore a oltranza di un pensiero della presenza, io-mondo, che da Kant a Husserl, e Merleau-Ponty, rimbalzava magari fino a McLuhan, E sottoponevo a dura critica proprio Derrida e compagni come sostenitori tipici dell’assenza, evitando il più possibile l’incontro tra l’io e le cose circostanti. Se mutare opinione, aggiornarsi sulle idee dominanti è segno di genialità, ebbene il nostro Rovatti può candidarsi a un titolo del genere, ma non reciti il copione della coerenza e della continuità.

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