Letteratura

Trasciatti, acrobazie di buon gusto giapponese

Io mi considero ormai votato a un servizio pubblico sul tipo di un bancomat, magari in questo caso di potrebbe parlare di un “narratomat”, portato a dare un responso a chiunque inserisca nella mia casella un suo prodotto narrativo appunto per ottenere da parte mia un responso, che non può mancare, solo che il prodotto presentato abbia qualche grado di valore. Come è nel caso di Alessandro Trasciatti, che mi fa giungere per via telematica un suo testo, “Acrobazie”. pubblicato, temo in via molto precaria, da una a me sconosciuta editrice con titolo molto poetico, Il ramo e la foglia. A prima vista avevo giudicato male questo nuovo arrivato, perché accompagnato da disegni per mano dell’autore stesso, che sono molto naif, tracciati alla brava, lo consiglierei di lasciar perdere questo accompagnamento che danneggia il prodotto risultante. Altro dato spiazzante, il sottotitolo, di “Storie brevi e brevissime”, mentre al contrario viene offerta una prosa che si distende per più di un centinaio di pagine, seppure divisa in brevi capitoletti, ma in sostanza come un flusso di lava o di liquido continuo. In questa onda continua l’autore si confessa, non sappiamo con quanta veridicità, il che però è un dato in sé insignificante. Piace il carattere minuto dei dati riportati, evitando quei grossi e ingombranti problemi che purtroppo oggi aduggiano tante prestazioni che pure vanno per la maggiore, penso alla Ciabatti o anche alla Verna, in cui viene sbattuto in faccia al lettore il cadavere di qualche vittima sacrificale, pretendendo che tutta la vicenda ruoti attorno a quel misfatto. Al confronto, il Nostro procede in punta di piedi, con grazia e leggerezza quasi di gusto giapponese. Non per niente mi viene di accostarlo a Patrizia Cavalli, di cui ho lodato una prosa proprio insignita del titolo giusto, “Con passi giapponesi”. Che sono anche quelli che conduce Trasciatti, concedendosi, per dirla con Tabucchi, tanti “piccoli equivoci senza importanza”, a raccogliere i quali gli basta poco, come infilare le mani nelle tasche dei pantaloni per condurre il censimento di quanto vi si trova. Forse, ammettiamolo, il dialogo con la donna amata è alquanto stucchevole, ma scattano subito circostanze molto più prosaiche e tangibili, come quando l’autore dichiara che “è difficile parlare con i miei piedi”. E in definitiva questo intero esercizio non sa bene se darsi a un’impresa di “dissotterrare” o invece di “inumare”. Vale a dire, portare alla luce, o invece nascondere i gelosi reperti privati, sottrarli alla vista, al commento, al giudizio perfino di noi “ipocriti lettori”?. Beninteso, posso trasferire a lui i pregi che già ho riconosciuto alla Cavalli, di saper praticare una specie di “prosa d’arte” rinata dalle ceneri, con qualche cedimento a facili lirismi, ma nel complesso riscattata da audaci puntate, anche nello scorrimento temporale, che non evita di spingersi fino a ipotizzare quanto potrà accadere nel Natale del 2028. Una ardita mossa in avanti, ma subito compensata da tanti piccoli passi indietro e laterali.

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