Letteratura

Una prova incerta di Calvino

Il “Robinson” di sabato scorso 16 maggio ha pubblicato un racconto inedito di Italo Calvino. Naturalmente, trattandosi di un grande autore, ogni nuovo apporto proveniente da lui è da prendere in considerazione, ma tutto sommato trovo che sia stata giusta la sua decisione di non farlo uscire alla luce. E’ una prova incerta, non legata all’”opera prima”, al “Sentiero dei nidi di ragno”, che a sua volta costituisce quasi un unicum nella produzione calviniana, che non amava per nulla quello stato infantile, con le sue innocenti esuberanze. Calvino preferiva occuparsi di uno stato adolescenziale, già disposto al suo atteggiamento di base, consistente in una larga disponbilità e attenzione verso l’ambiente circostante e verso gli altri, senza concedere troppo alle attrazioni del sesso, e neppure a motivi di “Impegno”. In definitiva, la sua produzione più tipica e accettabile si apre con la ben circostanziata cronaca degli “Avanguardisti a Mentone”, il cui autore dà gìà ampia prova di un atteggiamento che si potrebbe dire di “inespressione”, di rifiuto del pathos. E’ un atteggiamento di libera, disincantata attenzione che lo renderà particolarmente disponibile al tema favolistico. Infatti, se andiamo a scorrere le pagine di questo inedito, vi scorgiamo una certa reticenza a impegnarsi a fondo sia nell’avventura sentimentale, mantenendo le distanze da Vanda, e soprattutto nei confronti di una qualche militanza resistenziale. Calvino in definitiva ha capito che una casella del genere era da lasciare per intero a Beppe Fenoglio, assai più dotato di lui, magnifico cantore dell’epica partigiana con una lingua adatta, un mirabile incrocio tra l’inglese e certe forme dialettali. In Calvino, invece, la lingua è sempre stata limpida, trasparente. Non sono mancate in lui delle puntate verso un qualche grado di impegno, come quando se l’è presa, per esempio, col “mare dell’oggettività”, cosa contro cui sono intervenute allora le mie rampogne affidate al “Verri”. Come se lui non fosse invece un perfetto navigatore, proprio nel “mare dell’oggettività”, incerto, in difficoltà se sulla sua strada trovava stati di turbamento psicopatologico, si veda la quasi-ripugnanza con cui avrebbe affrontato, nella “Giornata di uno scrutatore”, le deviazioni patologiche degli internati al Cottolengo. Insomma, a far escludere dal suo “corpus” più legittimo il presente racconto, ritengo che siano state proprio le sbandate di cui c’è traccia verso un “farsi carico”, verso un rischio di palese partecipazione affettiva.

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