Arte

Visita alla Torre Prada

Bisogna riconoscere l’enorme merito acquisito dalla Fondazione Prada, a Milano, ora che con l’inaugurazione della Torre ha completato gli interventi nella vasta area interamente occupata alla prima periferia della città. Merito dell’operazione, aver riservato un ampio spazio, proprio nella Torre, a una collezione permanente di capolavori saggiamente acquisiti, cosa che non esiste presso altre fondazioni o gallerie. Il competitor potrebbe essere Pinault a Venezia, tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana, ma il patron francese non ha il coraggio di riservare uno dei due contenitori per intero a opere già acquisite. Per restare a Milano, la bella impresa di Lia Rumma, con i tre piani di una palazzina costruita ad hoc, non ha però spazio per il permanente. Bisogna anche riconoscere la coerenza di scelta nell’ aver affidato questo grandioso complemento allo stesso architetto, Rem Koolhaas, cui si deve la scatola realizzata in precedenza, andata come in avanscoperta, anche se a questo proposito devo rinnovare una mia critica già espressa al primo incontro con questo edificio, che cioè una coppia così avanzata nel gusto come i coniugi Prada-Bertelli meglio avrebbero fatto a rivolgersi a una archistar di gusto postmoderno, piuttosto che a un duro e puro erede di Gropius e compagni. Mi chiedo se al limite non sarebbe stato meglio abbattere tutti gli spazi vecchiotti e fatiscenti, di cascine coloniche di altri tempi, dove pure la Fondazione alberga tante delle sue manifestazioni, come ora, ficcata dentro quasi a forza, l’enorme rassegna sul nostro passato concepita da Germano Celant. Forse era meglio procedere ab imis, dando via libera a Koolhaas per una progettazione interamente coerente coi suoi presupposti. Che appunto ora si esprimono al massimo nella Torre, coi suoi 60 metri di altezza ripartiti in nove piani, che sono anche un trionfo dell’abbondanza di stanze, forse perfino troppo, infatti si ha l’impressione che le opere poste a dimora in ciascuna di queste aree ci “ballino”, assediate da troppo vuoto. Voglio sperare che i Prada sappiano aggiungere via via altri capolavori a ristabilire un giusto rapporto tra pieni e vuoti. Credo che la visita migliore, come succede in questi casi (vedi il caso parallelo della nuova sede a New York del Whitney, progettato dal nostro Renzo Piano) sia di prendere l’ascensore fino in cima per poi discendere per le ampie scale. Al nono piano ci accoglie la pittoresca esibizione di porcini allestita da Carsten Hoeller, accanto a una più enigmatica ed evanescente presenza di John Baldessari. L’ottavo ci offre l’omaggio a una figura minore, William Copley, incerto tra Pop e kitsch, ma caro ai padroni di casa, che hanno diritto a fare qualche concessione ai loro gusti, e accanto una sfilata di vetrine in cui il multiforme Damien Hirst forse non si presenta al meglio delle sue molte possibilità. Al settimo c’è il felice incontro con uno dei geniali “mari” in scatola del nostro Pascali, mentre il talento del Land-artista Michael Heizer appare alquanto sacrificato nello schiacciarsi in progetti quasi cartografici, quasi Optical, appiattiti sulle pareti. A un altro piano inferiore gestisce molto meglio la sua immagine il numero uno della Land Art, Walter De Maria, che in fondo si ricorda dei ferri aguzzi del suo “Letto di spine” infiggendo una sbarra intenta a trapassare, come fossero tordi, le panciute carrozzerie di auto fuori epoca, simili a relitti spuntati dal corpo enorme degli USA. Poi, una cesura a mio avviso indebita, per consacrare i piani di mezzo a un ristorante, che pare però essere ligio alle esigenze di un luogo d’arte, e a un’area riservata ai servizi. Bene i due piani restanti, in uno era giusto ricordare una eccellente presenza nelle mostre precedenti, riservata a Edward Kienholz, e compare pure un magnifico salotto che Mona Hatoum ha dato alle fiamme, riducendolo a una carcassa spettrale. Infine, dulcis in fundo, un secondo piano ravvivato da un mazzo di gioiosi, policromi, tangibili tulipani di Jeff Koons, mentre alle pareti, con ottima scelta, compare un omaggio, attraverso molti pannelli polimaterici, al talento multiforme della nostra Carla Accardi.

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