Letteratura

Troppa carne al fuoco nella Bazzi

Ho ricevuto per un caso di omonimia il romanzo di Agata Bazzi,Ci protegge la luna, inviatomi addirittura dal grande  Mondadori, In realtà io avevo recensito nel mio blog molto favorevolmente un altro Bazzi, Jonathan, autore di Febbre,ma ben venga pure la prova della sua omonima, di cui a dire il vero prima di ricevere questa sua opera nulla sapevo, ma mi ritengo in obbligo di [...]  CONTINUA A LEGGERE

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Arte

Tiziano corre in avanti

Come ho detto, martedì scorso ero andato al Palazzo Reale per la mostra di Sorolla, contando anche di visitare quella di Tiziano e l’immagine delle donne, ma un ritardo di treno, e gli appuntamenti pomeridiani, mi hanno permesso solo di gettare uno sguardo di fretta su Sorolla, lasciando perdere l’altra esposizione molto più considerata dagli organizzatori, e già provvista di lunga [...]  CONTINUA A LEGGERE

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Letteratura

Ci protegge la luna

Ho ricevuto per un caso di omonimia il romanzo di Agata Bazzi, Ci protegge la luna, inviatomi addirittura dal grande Mondadori. In realtà io avevo recensito nel mio blog molto favorevolmente un altro Bazzi, Jonathan, autore di Febbre, ma ben venga pure la prova della sua omonima, di cui a dire il vero prima di ricevere questa sua opera nulla sapevo, ma mi ritengo in obbligo di [...]  CONTINUA A LEGGERE

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Arte

Tiziano e l’immagine delle donne

Come ho detto, martedì scorso ero andato al Palazzo Reale per la mostra di Sorolla, contando anche di visitare quella di Tiziano e l’immagine delle donne, ma un ritardo di treno, e gli appuntamenti pomeridiani, mi hanno permesso solo di gettare uno sguardo di fretta su Sorolla, lasciando perdere l’altra esposizione molto più considerata dagli organizzatori, e già provvista di lunga [...]  CONTINUA A LEGGERE

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Attualità

Dom. 13-3-22 (Occidente)

Attorno alla drammatica questione dell’Ucraina avvengono cose che non comprendo. Trovo inutile e ridicolo, per esempio, che si sia sperato di trovare un mediatore nel leader cinese, amico tradizionale di Putin. Qualcosa di più si poteva sperare da parte del leader di Israele, che comunque è un “terzo”, e tale sarebbe pure Erdogan. Ma sono i rappresentanti dell’Occidente che si devono fare [...]  CONTINUA A LEGGERE

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Attualità

Dom. 6-3-22 (Zelensky)

Cerchiamo di mettere in po’ di realpolitik nella tragedia dell’Ucraina. Mi pare che non ci sia nulla da fare, se Zelensky ama davvero il suo Paese, come ha ampiamente dimostrato, se ne deve andare, uscire dai confini, altrimenti trascina la sua terra in una sanguinosa guerra casa per casa, con migliaia di vittime e di rovine senza fine. Il che vuol dire che l’Ucraina sia destinata a diventare una regione succube della Russia? Non credo, qui c’è pure un ruolo anche dell’Occidente, Usa, NATO, EU, i quali devono fornire solide garanzie che non hanno alcuna intenzione di collocare dei missili in quel Paese infelice. Con i sistemi di controllo di oggi, è facile per i Russi verificare se questo impegno sia rispettato davvero. Ma detto questo, se appunto l’Occidente sa premere, e le sanzioni economiche dovrebbero pure avere il loro peso, penso a me stesso come mi troverei male se a un tratto mi risultassero inutilizzabili carta di credito e bancomat, si può ottenere che alla testa dell’Ucraina non venga posto un fantoccio manovrato da Putin, ma che si tengano davvero libere elezioni. Credo insomma che, pur senza accoglierlo nell’EU, a quel Paese si possa concedere di vivere in stile occidentale, pur nel rispetto della neutralità. Lo fa da anni e con ottimo esito, la Finlandia. Non solo, ci potrebbero essere perfino dei vantaggi economici, noi occidentali, invece di dare all’Ucraina inutili armi, dovremmo dare soldi, tanti, per consentirne la ricostruzione, e altrettanto dovrebbe fare in primis la Russia, principale responsabile della distruzione delle città ucraine. Quanto a Zelensky, se fuoriuscito, e convenientemente alloggiato all’estero, potrebbe diventare il garante, per un verso, della neutralizzazione del suo Paese, ma per un altro, della possibilità che esso goda di tutte le libertà occidentali, pur non conferendogliele formalmente. È un’utopia? Forse, ma dipende dalla fermezza, dalla forza di noi Occidentali, invece che far risuonare il melodrammatico e ipocrita “armiamoci e partite”.

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Letteratura

De Giovanni non sa rinnovarsi

Confesso che, leggendo l’ultimo prodotto di Maurizio De Giovanni, L’equazione del cuore, mi si era aperto un filo di speranza, forse uno dei giallisti più reputati e di successo una volta tanto aveva deciso di mettere da parte i suoi soliti investigatori, o anche la squadra tumultuosa dei Bastardi di Pizzofalcone, per narrarci una vicenda più solitaria e di pura rilevanza psicologica. Così infatti si presenta il protagonista di questo romanzo, Massimo Del Gaudio, con cognome del tutto improprio, infatti nella sua esistenza non pare esserci nulla di gaudioso, è un professore di matematica puntuale, abitudinario nei gesti, ancora inconsolabile per la perdita della moglie Maddalena, pur avvenuta tanti anni fa, il che però forse gli impedisce di stringere nodi di sincero affetto sia con la figlia Cristina sia col figlio di costei, il piccolo Checco, che però vorrebbe invece avere il pieno appoggio del nonno. Un’esistenza così regolare, ma anche vuota è scossa a un tratto dalla tragedia, Infatti sia la figlia sia il genere, Luca Petrilli, dal protagonista non molto amato, come del resto è quasi nella tradizione, restano vittime di un incidente d’auto, vanno a finire con la loro vettura dritti dritti contro un ostacolo, morendo sul colpo. Si salva a stento Checco, che se ne stava nel sedile di dietro, ma è in pessima condizione, con fratture multiple e soprattutto offese alla testa, il che obbliga l’assistenza medica a mantenerlo in coma terapeutico, paventando l’ora del risveglio, in cui il piccolo potrebbe accusare lesioni irrimediabili al cervello. Il Del Gaudio è prima di tutto sconcertato da questo dramma, che lo sbalza fuori dalla sua vita così ben regolata nei tempi e nel ritmo, ma essendo l’ultimo parente rimasto al povero ragazzo è costretto a sostare nella clinica e a cercare di rivolgergli un po’ di quell’affetto che in precedenza gli ha sempre negato. Nella veglia viene a scoprire cose sorprendenti, che il genero, da lui disprezzato, era però un genio negli affari, e aveva costituito un impero capace di sostenere da solo tutta quella piccola comunità ove il dramma si svolge. Se Checco ce la fa a sopravvivere, l’erede sarà lui, ma diversamente l’austero scienziato sarebbe sottratto per sempre alla quiete dei suoi studi dovendo farsi carico di quella impensata cospicua eredità che gli pioverebbe addosso. Naturalmente quando un giallista mette in scena un incidente d’auto, cosa che accade molto spesso, essendo un’arma eccellente per ingarbugliare le trame, in genere “gatta ci cova”, come insinua un bravo ispettore, anche se di modesta apparenza. E dunque ci siamo, buon sangue non mente, il giallista che cova in De Giovanni fa la sua riapparizione, ma in una versione insolita. Infatti in genere un falso incidente d’auto è tramato da qualche “cattivo” che vuole mandare a quel paese un nemico, un avversario, qualcuno che gli contrasta il passo. Qui invece passo passo si scoprirà con meraviglia è stato proprio il genero, l’onnipotente Petrini, il padrone del paese, a procurarsi la morte andando a sbattere volontariamente contro l’ostacolo. Naturalmente ho scrupolo verso un eventuale lettore, quindi non starò a svelare la ragione di quel gesto impensato. Dovrò pur dire che comunque, anche quando arriva una motivazione, questa appare inverosimile, tirata per i capelli, e dunque De Giovanni spreca quel poco di attendibilità psicologica che pure aveva dimostrato nel tratteggiare il carattere di Del Gaudio. Niente da fare, le dure esigenze del giallo obbligano sempre a deragliare, a imbrogliare le carte, a barare al gioco. Qui, a dire il vero, il nostro autore lascia la trama in sospeso, non ci dice se e come il piccolo Checco uscirà dal coma.
Maurizio De Giovanni, L’equazione del cuor, Mondadori, pp. 242, euro 19.

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Arte

Sorolla, anticipatore nell’iperrealismo

Ho molto amato la pittura di Sorolla, ma sentendo sempre la necessità di collegarla ad altri tre artisti, a lui vicini negli anni e soprattutto nello stile. Lui, 1863-1923. Gli altri, lo svedese Anders Zorn, 1860-1920, e i meno noti dalle nostre parti, il norvegese Christian Krohg, 1852-1925, e il danese Peter Severin Kroyer, 1851-1909. Era una curiosa alleanza tra il Nord e il Sud Europa, e dunque dovrebbe essere proprio l’EU a farsi carico di esporli tutti assieme, essendo uniti da una sorta di super-impressionismo, o iper-realismo avanti lettera, a sfida della fotografia. Ci avevo provato io stesso, proponendo il quartetto al romano Chiostro del Bramante, molto poco convinto della cosa, tanto che mi pose condizioni capestro, un tempo limitato per realizzare il progetto e tutte a carico mio le spese dei viaggi per cercare i prestiti. E così mi feci nel giro di pochi giorni dei bei viaggi, in Svezia alla casa natale di Zorn, a Copenaghen, a Oslo, a Madrid. Fu un fallimento, solo dal direttore del museo Zorn, perfetto italofono, ottenni una certa considerazione, gli altri mi snobbarono del tutto, una parente di Sorolla lasciò anche lei cadere le mie avances, lusingata dall’annuncio che all’avo era promessa una mostra al Prado. Tornai quindi con la coda tra le gambe a confessare il fallimento a quelli del Chiostro del Bramante, forse dal canto loro sollevati dal rischio di dover sostenere una mostra in cui non credevano. Ora non è che neppure Milano celebri l’artista valenciano in pompa magna, infatti lo colloca nelle stanze più lontane e disagiate al primo piano del Palazzo Reale, riservando lo spazio d’onore a un grande classico come Tiziano, oltretutto presentato attraverso il tema femminile, e già si allungano le code dei visitatori, mentre pochi e incerti sono quelli per l’artista spagnolo, che però ugualmente sciorina le vesti candide, come lenzuoli, come vele al vento, destinati ad avvolgere le sue donne, non legate al cosiddetto eterno femminino bensì a solidi caratteri etnici. Meglio ancora quando quelle figure, robuste, atletiche, si tuffano in acqua, magari quasi a riva, come se il mare fosse una provvida tinozza per dare risalto alle forme, come se fossero dei balenotteri quasi spiaggiati, ma capaci comunque di mostrare solide carni ben abbronzate. Quelle immagini ci possono ricordare anche un nostro artista, di pochi anni più anziano, Francesco Paolo Michetti, che però, nell’affrontare il medesimo tema di bagni di donne sui bordi del mare, quasi diffidando del mezzo pittorico, aveva preferito valersi della fotografia, e quindi, in definitiva, fornendo prestazioni di tono minore. Mentre Sorolla, al pari del resto dei suoi lontani compagni di ventura, è sempre forte, plastico, quasi scultoreo, se non ci fosse pur sempre l’immersione nella calda luce mediterranea e nell’ acqua di mare a scorrere sulle epidermidi e ad ammorbidirle in misura conveniente, ricavandone magnifici riflessi di tinte. Diciamo pure che per tanta abilità egli sfiorava il limite del virtuosismo, cosa che però gli diede un successo nei due mondi, convinse per qualche tempo anche il pubblico statunitense. Mantengo un filo di speranza che qualcuno voglia intraprendere il pieno riconoscimento e la conseguente valorizzazione non solo di Sorolla, ma degli altri tre che in quegli anni gli fecero degna corona, resistendo a tutte le seduzioni delle avanguardie. E dunque, se si vuole, è pur strano l’ omaggio entusiastico che gli rende un fedele storico dello sperimentalismo novecentesco come il sottocsritto
Joaquìn Sorolla, a cura di Micol Forti e di Consuelo Luca de Tena, Milano, Palazzo Reale, fino al 26 giugno.

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