Letteratura

Brizzi: una riuscita “viandanza”

I miei rimbrotti alla “Felsina narratrix” conoscono alcune eccezioni, una delle quali riguarda Stefano Benni, come è risultato da una mia noterella apparsa su queste pagine due domeniche fa, accompagnata però dall’ammonizione che l’autore si sappia controllare e vada alla ricerca di nuove fonti più autentiche. Un’altra eccezione va ai prodotti di cui è sempre fertile Enrico Brizzi. Anche per lui mi ero espresso in termini molto positivi a proposito del “Matrimonio di mio fratello”, con cui è entrato in modo autorevole nell’attuale mercato di (finta) autonarrazione, o comunque di cronache molto verosimili stese sulle angustie e conflitti dei nostri giorni. Ma Brizzi si raccomanda per avere impostato due filoni molto redditizi, quello di una narrativa di fantapolitica, che in luogo di tentare di rimettere in piedi ambiziosi panorami del passato (l’impresa in cui si perdono regolarmente i Wu Ming in formazione completa e che regolarmente gli rimpovero), si avventura invece a immaginare un futuro sensazionale, come quello di un Mussolina tanto furbo dal rovesciare le alleanze abbandonando al suo destino Hitler e facendosi accogliere tra le braccia degli Alleati, con tante conseguenze per lui vantaggiose. Un filone di questo genere, invece che obbligare a ricostruire un passato poco conosciuto, consente di proiettare in là di qualche anno degli scenari abbastanza noti. E poi c’è l’altro filone, dei percorsi a piedi per raggiungere mete illustri. Su questo terreno lo ha raggiunto proprio uno dei Wu Ming, che si fregia del numero 2 e pare corrispondere a Giovanni Cattabriga, di cui, sempre in queste pagine solitarie, ho lodato il recente “Sentiero luminoso”, che fa seguito a prove precedenti della medesima matura, ma che non può pretendere di strappare a Brizzi un titolo prioritario in imprese del genere. Inoltre non ho mancato di rilevare due inconvenienti, nell’operazione di Cattabriga: la monotonia del percorso, da Bologna a Milano, e la tentazione connessa di rialzarlo con tuffi in un certo sinistrismo di maniera, come quello di aprire una polemica contro l’alta velocità e perfino contro l’Expo, che era l’evento dominante l’anno scorso, quando il Wu Ming 2 ha immaginato la sua lunga camminata. Ma gli ho pure dato atto di aver introdotto due nozione molto utili, quella generale di “viandanza”, sigla efficace per tutto questo genere di operazioni. E di considerarlo anche un “wikisentiero”, dove cioè il volonteroso viandante arricchisce i suoi passi con continui riferimenti a wikipedia, da cui trarre ogni genere di notizie, storiche, economiche, turistiche, sui luoghi attraversati. Brizzi, al confronto, in questo suo “Sogno del drago”, può vantare una “viandanza” più lunga, come indicato diligentemente dal sottotitolo, “Dodici settimane sul Cammino di Santiago da Torino a Finisterre”. Col vantaggio, a mio avviso, di non incontrare o di evitare abilmente, gli spettri del sinistrismo, come sarebbero le ostilità dei “Notav”. Per il resto, siamo a un’applicazione se possibile ancor più integrale dei lumi provenienti da Wikipedia. Il progetto soffrirebbe di una sua sostanziale monotonia, dato che Brizzi in questo caso rinuncia a inserirvi un rischioso compagno di viaggio, ovvero un “Pellegrino dalle braccia d’inchiostro”, come avveniva in un’opera del 2007, in cui, molto ingegnosamente, sulla trama da “sendero luminoso”, allora consistente nel percorso francigeno verso Roma, veniva inserito uno spunto da “giallo” poliziesco. Qui Brizzi intende fare il puro, non aggiungere alla pulizia del pellegrinaggio elementi spuri, però sa fare ampio uso di ogni suggerimento laterale, e dunque è pronto a offrirci notizie a iosa sui luoghi attraversati, con diligente ricostruzione di mappe geologiche, indicazioni climatiche, digressioni nel passato. Impariamo come andarono le cose ai tempi degli Alibigesi, e si indietreggia pure fino al Re Sole, e al disgraziato Luigi XVI, di cui vengono evocati in diretta gli ultimi giorni. Inoltre il pellegrino è abile nel tenere aperti i canali con le figlie che lo attendono trepide, il cellulare oggi riesce a compiere miracoli di questo genere, e ci sono i rapporti con i compagni di viaggio, che lo lasciano a turno, ma sostituiti da tanti altri incontri con turisti o pellegrini di tutti i generi e provenienze e stati sociali. Un patito manzoniano come me, poi, non può che apprezzare il puntuale parallelo che il nostro viandante stabilisce con l’itinerario del Diacono Martino, un pezzo di bravura che da solo vale a riscattare l’altrimenti bistrattata tragedia dell’”Adelchi”. Brizzi ci induce a credere che Don Lisander lo avesse preceduto davvero nell’andare a esplorare come dal Piemonte, forse attraverso il Moncenisio o il Monginevro, si poteva andare a raggiungere il campo di Carlo Magno, e indicargli il sentiero, anche in quel caso luminoso, per calare in Italia e sorprendere alle spalle le truppe longobarde. Naturalmente nel nostro caso conta solo l’andata, ma la seguiamo, vi aderiamo, nelle mille difficoltà, di passare la notte in luoghi protetti, di trovare cibo e ogni altro elemento di necessaria sussistenza. Sono allegate anche le mappe di questo percorso, che sembra interminabile, si complica, si blocca, come quello di una formichina che trova ostacoli ovunque. E vale anche il classico detto secondo cui “motus in fine velocior”, cioè quando la mitica destinazione, Santiago de Compostela, giunge finalmente a tiro, sembra che l’Autore se la voglia cavare in fretta, chiudere una vicenda che è già stata troppo lunga. Da quale parte dell’orizzonte, dell’ampia mappa dei generi letterari, l’industrioso Brizzi ci colpirà la prossima volta?
Enrico Brizzi. Il sogno del drago. Ponte alle grazie, pp. 318, euro 14,90.

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