Sul “Corriere della sera” sono usciti di seguito tre fondi di opinionisti dei più reputati, Francesco Giavazzi, Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco, che in sostanza, al di là di minime sfumature, sono risultati concordi nel sostenere una tesi del tutto logica, che cioè nel nostro Paese le classi popolari sono “illiberali”, mentre dimostrano troppa fiducia nello statalismo. Ma è perfettamente giusti che sia così. Questa è anche la linea di divisione tra destra e sinistra, che pure tanti mettono in dubbio, mentre invece continua a esistere, e proprio i commenti del terzetto di cui sopra la ribadiscono. Forse i nostri sostenitori del “liberal” non si sono accorti di essere del tutto in linea col famigerato Donald Trump. Anche loro ritengono che le tasse siano da abbassare per permettere alle aziende private di fare buoni affari. Che importa se un minore introito dell’erario mette in crisi il sistema del welfare? Siamo giusti, le persone a posto, che si sanno muovere negli affari, non hanno bisogno della mutua, di tasse basse nelle scuole di ogni grado, eccetera. Sono perfettamente in grado di pagare pesanti canoni assicurativi come paracadute verso le malattie, e altrettante tasse consistenti per mettere i figli nelle scuole giuste, a conquistare titoli di studio come si conviene. A ben vedere, l’intero sistema “liberal” viene dallo spirito calvinista, i bravi industriali sanno svolgere una vita di sacrifici, in attesa dell’immancabile premio. Forse gli austeri eurocrati dei Paesi del Nord hanno ragione di dire che nei Paesi mediterranei si pensa troppo alle donne e al vino, a danno del lavoro e dello spirito d’iniziativa, per cui, forse, sarebbe eccessivo arrivare al livello di Trump che ha intrapreso la sua lotta per la soppressione dell’Obamacare, ma certo la tutela del welfare è roba per esseri inferiori, diversi dai bravi borghesi. I quali però, nella loro naturale furberia sono pronti a difendersi evadendo le tasse, e così toccando redditi che li abilitano a percepire pure i vantaggi sia della mutua sia del sistema scolastico, alla stregua dei disprezzati poveracci. Inoltre, si sa bene che appena le cose vanno male, i privati sono pronti a disfarsi delle aziende trasferendo i soldi all’estero. E allora, tocca al famigerato intervento statale cercare di salvare la baracca, di intervenire, alzando il debito pubblico. I nostri “liberal” sono pronti a deprecare l’IRI, che pure fu uno dei pochi interventi in cui il regime fascista si ricordò di avere una lontana matrice socialista, trovando perfino una qualche affinità col new deal di Roosvelt. E poi, beninteso, l’IRI ha continuato anche nel dopoguerra nella sua tenace perversione, cercando di impedire il fallimento di aziende con relativo licenziamento di dipendenti. Errore funesto, quando una baracca va male, meglio lasciarla affondare, tanto i bravi borghesi sanno bene come salvarsi, vedi sopra l’elenco dei classici rimedi possibili. Che cosa strana, dover constatare che tutti gli strati sociali di lavoratori dipendenti non apprezzino questa geniale concezione del “laissez faire”, mentre con totale spirito illiberale insistono in una fiducia immotivata nell’intervento pubblico.