Arte

Giacomo Ceruti, una tacita rivoluzione

L’unione di Brescia e  Bergamo nel ruolo di capitali  italiane della cultura nel corrente anno sta dando buoni frutti, le due città ci offrono nei loro luoghi più prestigiosi mostre di alto profilo, la scorsa settimana, sull’onda di un articolo di Antonio Pinelli, ho reso omaggio a Cecco Boneri (Bergamo,  Accademia Carrara), un “creato”, e forse qualcosa di più, del Caravaggio, una pista attraverso cui si può sperare di risolvere il mistero ancora intatto di quale fosse la provenienza del miracoloso primo tempo del Merisi, appena giunto a Roma. Ora è il turno di S. Giulia a Brescia a darci una eccellente mostra di Giacomo Ceruti, venuto circa un secolo dopo l’altro (1698-1767), ad attuare una tacita rivoluzione, consistente nel promuovere in primo piano, e a grandezza naturale, gli umili protagonisti della vita quotidiana, rappresentanti di un non ancora battezzato quarto stato, Gliene è venuto l’epiteto forse inadeguato, perché ispirato a una pur pietosa commiserazione, di Pitocchetto, ma forti, stanti, immanenti sulla scena sono i suoi garzoni portatori di pesanti gerle sulle spalle, o le comari riunite in crocchio per fare la conta delle uova, o i cavallanti posti all’ombra di maestosi destrieri, anche se di sicuro non di razza, ma buoni per tirare la carretta. Un certo interesse per le vicende svolte dagli ultimi della terra era già presente, negli annali dell’arte, basti pensare ai Bamboccianti del  primo Seicento, ma una ferrea gerarchia dei generi non gli avrebbe mai permesso di allargarsi, di affacciarsi in primo piano, di strappare ai nobili o ai ricchi borghesi il  diritto di dominare la scena. Ceruti invece non si ferma davanti a questi divieti, li supera, spinge  avanti i suoi umili eroi a invadere  nuove terre fin lì inesplorate, apre strade e piste, giganteggia insomma su tutto il secolo che si apre, e che non offrirà molto nella medesima direzione, dovremo attendere a lungo, prima di vedere altri omaggi di pari dignità dedicati al Quarto Stato, che certo non fu protagonista per tutto il Settecento, neppure al tempo della Rivoluzione francese, e dovette attendere a lungo prima che scoccasse la sua ora. Ma appunto il Ceruti ne offre una stupefacente apertura, inoltrandosi a fondo in quel terreno fin lì incolto.

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