Letteratura

Il fascino della poesia vista nel suo retro

Il sabato 15 dicembre 2018 sono stato invitato da Emilio Mazzoli a un incontro posto all’insegna di un quesito molto intrigrante, “Dove va la poesia”. Il luogo era la magnifica Sala dei Contrari, sita nel Castello di Vignola, che ha la proprietà, più unica che rara, di insistere su due spazi tra loro divergenti, come una lingua bifida. L’intento dell’incontro era riparatorio, infatti Mazzoli, grande sostenitore di tutte le possibili avanguardie, era stato urtato dall’effettuarsi nella sua stessa città, Modena, e dintorni, di un Festival di Poesia, dal settembre in poi, decisamente “seduto”, volto a prendere la poesia per il verso giusto, convenzionale, risaputo. Nell’intento di Mazzoli, conveniva invece prendere il fenomeno per l’inverso, fargli il contropelo, giocare di contropiede, e non aveva certo faticato a trovare chi doveva essere il grande maestro di questa attitudine “contro”, Nanni Balestrini. Ma al momento la sua presenza, per infermità momentanea, risultava indisponibile, e dunque io sono stato chiamato a svolgere una funzione surrogatoria, cosa che ho accettato ben volentieri, pur ammettendo la mia inferiorità al compito. Come portabandiera di un simile atteggiamento erano stati scelti, molto a proposito, Aldo Nove e Rosaria Lo Russo, chiamati anche ad animare la seduta con interventi performativi. Io per stabilire subito il clima giusto ho ricordato un episodio che vale in misura superlativa a contrassegnare un simile clima oppositivo. Nel 2003, rievocando solennemente i quarant’anni dalla nostra nascita come Gruppo 63, avevamo potuto organizzare una densa passerella a Bologna, Arena del sole, richiamando in pista tutti i sopravvissuti, che in quel momento erano ancora numerosi, ma celebrando anche qualche estinto di valore, tra cui Corrado Costa, che aveva potuto essere vocato attraverso qualche registrazione di sue prestazioni video e acustiche. Tra queste ultime, un audiotape straordinario, in cui ci ammoniva, come maestro che redarguisce i rampolli sbadati, “Questo è il retro. Zucconi, siete nel retro, girate la cassetta, retro, retro”. Fu un successo incredibile, subito dopo tutti i partecipanti replicavano in coro “questo è il retro, il retro”, ben comprendendo che in quel motto stava per intero la sfida lanciata ai “normali” praticanti della poesia. Nell’occasione non ho mancato di evocare certi meccanismi già cari alle avanguardie storiche nel perseguire i medesimi intenti eversivi, quale la pratica del “cadavere squisito” che aveva deliziato i Surrealisti, in una delle loro sedute, in cui veniva praticato il giochetto di società che porta ciascuno a scrivere una frase, poi a coprirla lasciando che un compagno di banco ne stenda una successiva, in completa ignoranza della precedente. Come si sa, il primo di questi incontri affidati al caso appioppava al cadavere la qualifica assolutamente impropria, aberrante, di essere “squisito”, il che fu accolto dal più vibrante applauso dei partecipanti, con ingiunzione a non procedere oltre, dato che era impensabile che saltasse fuori un più sconvolgente accoppiamento. Ma non mancai certo di evocare l’assente Balestrini, che già nel 1961 aveva dato il degno seguito a quella procedura moltiplicandola, secondo quell’esito di estensione quantitativa in cui io ho sempre ravvisato il tratto caratterizzante delle seconde avanguardie rispetto alle prime, col carattere aggiunto del ricorso, per ottenere questa moltiplicazione dei pani, a un “novissimo” strumento tecnologico, a una prima comparsa di un antenato del computer, pronto a snocciolare una sequenza senza fine di variazioni linguistiche. Del resto Balestrini era stato capace di procedere in proprio in questa impresa di attribuzione infinita di qualifiche prendendo come testa di turco la sua diafana, irreprensibile, fantomatica Signorina Richmond, sottoponendola a un fuoco di fila di epiteti saccheggiati da ogni angolo dell’esperienza umana.
Ma a questo punto del mio sproloquio sono stato chiamato al dovere di introdurre i due presenti. L’ho potuto fare trovando per ciascuno di loro un ascendente, che nel caso di Nove era lo stesso Balestrini. Infatti nella enorme produzione di Nove spicca il poemetto “Maria”, che viene a fornire un surrogato della Signorina Richmond, forse un po’ più qualificato in partenza, ma poi sottoposto a un profluvio di predicazione che, anche in quel caso, attingono a tutti i versanti della vita, come una interminabile giaculatoria, che oltretutto invita davvero a essere recitata, quasi evocando il pubblico rito del rosario. Infatti Nove, invitato come ospite di lusso al primo incontro di RicercaBO, nel 2007, quando, respinti da Reggio Emilia, avevamo ricollocato i nostri lari a Bologna (San lazzaro), aveva invitato tutti i presenti a venire a turno al tavolo per recitare uno dei tanti versetti del suo interminabile poema.
Ben diversa la matrice valevole nel caso di Rosaria Lo Russo, con cui si deve risalire addirittura a un padre fondatore della poesia e prosa d’avanguardia, a Rimbaud e al suo “Bateau ivre”, di cui la poetessa toscana non fa che rimodulare, replicare, variare all’infinito le rotte temerarie per tutti i mari dello scibile e dell’esistenza. Per lei mi è familiare ricorrere alla similitudine dello tsunami, della piena irresistibile, distruttiva, ma anche feconda, che trascina con sé quanto incontra sul proprio cammino. Se Nove procede in modo rettilineo e sistematico, un passo alla volta, Rosaria si affida a un percorso acceso, tonitruante, costellato di “spasimi”, tanto per valerci del titolo stesso di una sua esuberante performance.

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