Letteratura

Luccone, una convincente pratica di scrittura “ibrida”

Ricevo due volumi da Leonardo Luccone, autore fino a questo momento a me sconosciuto, ma non mi esimo certo dal dovere di rispondere a chi mi fa omaggio di cose sue, soprattutto se, come in questo caso, si tratta di prove non certo prive di interesse. Il primo di questi libri ha per titolo “Questione di virgole”, con invito, espresso dal sottotitolo, di procedere a un “punteggiare rapido e accorto”. E’ un convincente esame delle modifiche che la punteggiatura assume ai nostri tempi, con la scomparsa di forme in definitiva attardanti e complicate quali il punto e virgola e i due punti. Ma si sa che ci stanno dentro anche la crisi del congiuntivo, e tante altre abitudini care alla scrittura cartacea, messe in crisi dalla velocità della scrittura al computer, erede dello stile asciutto e sintetico della telegrafia. Data questa partenza, si potrebbe pensare che il nostro Luccone sia un conservatore, un nostalgico di quelle modalità di cui registra la quasi avvenuta scomparsa. Invece, se passiamo al suo romanzo, dal titolo significativo “La casa mangia le parole”, vi troviamo una prova avanzata di scrittura che potremmo definire ibrida, come lo si dice per le auto che innestano la locomozione elettrica su quella tradizionale a carburante. E’ un romanzo che, se volessimo distenderlo in prosa normale e continua, magari proprio con tutta la punteggiatura a posto, non sarebbe molto distante da tante altre prove attuali, da me magari esaminate tra il consenso e la disapprovazione, in cui si tratta di casi oggi comuni. Qui è di scena un tale ingegner Di Stefano che naturalmente ha problemi di coppia con la moglie, e soprattutto col figlio Emanuele, indocile, ribelle, o forse vittima di forme di autismo. Naturalmente alla coppia si presentano i soliti problemi di sopravvivenza, rivalità con i colleghi, lotte per affermarsi, rapporti difficili con i parenti, e così via. Insomma, un panorama che sarebbe abbastanza consueto, se non fosse proprio il trattamento puntuativo assunto da Luccone, che spezzetta questa materia in tanti segmenti, facendoli scorrere in su e in giù nel flusso cronologico, sempre interrotto, ansimante. Cosa non certo insolita, di una soluzione del genere si sono avvalsi due dei migliori narratori del momento, Sandro Veronesi e Andrea Bajani, ma nel nostro Luccone questo andare su e giù diviene parossistico, fino a costituire la molla del racconto. Viene in mente quello che succedeva nei vecchi termometri a mercurio, quando l’involucro di vetro si rompeva e allora le gocce dell’”argento vivo” scorrevano in ogni direzione, imprendibili. Forse nel valermi di una similitudine del genere, di modesta origine para-scientifica, sono stimolato dal linguaggio dell’autore, di cui cito una solla frase che vale a indicare quanto dipenda da meccanismi attuali, dove la nostra comune umanità viene ripresa in termini quasi scientifici. Vi si parla infatti di “onde gravitazionali del dolore”, ed è evidente che risulterebbe ben difficile determinarle a base di punti e virgole o due punti. E c’è pure una bella definzione di questa modalità di narrare, detta “fare lo slalom fra le cose”.
Leonardo Luccone, Questione di virgole, Laterza, pp. 243, euro 16. La casa mangia le parole, Ponte alle Grazie, pp. 528, euro 18.

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