Letteratura

Marco Balzano, hic optime manebimus

Ricevo e commento ben volentieri il romanzo di Marco Balzano “Resto qui”. Con riferimento a questo autore, devo confessare la mia ignoranza, in riferimento ai suoi tre romanzi precedenti, e anche alla circostanza che uno di questi ha riportato nel 2015 il Premio Campiello. Dico subito, per un primo confronto, che a mio avviso avrebbe meritato assai più il Premio Strega rispetto al vincitore dell’anno scorso, Paolo Cognetti, per cui non vale certo l’affermazione di costanza e di adesione a un luogo geografico e culturale quale risulta fin dal titolo di quest’opera. Cognetti mi è sembrato colpevole di una incertezza di collocazione, tra un protagonista che si reca in montagna solo in vacanza, come avviene anche nelle sue puntate addirittura himalayane, e invece un solido montanaro, ma insidiato, aggirato proprio dal pendolarismo di quel visitatore nomadico. Qui invece si assiste a un pregevole radicamento in un territorio, che per di più è insolito, e oltretutto raggiunto in controtendenza. Si tratta infatti di un Sud Tirolo che magari siamo abituati a vedere dalla parte di qua, di nostri concittadini che, andati ad abitare da quelle parti, devono subire l’offensiva linguistica di una cittadinanza rimasta fedele al proprio tedesco. Qui invece è il contrario, la solida maggioranza di lingua germanica si vede insidiata, negli anni tra le due guerre, dalle manovre con cui il regime fascista tenta di imporre agli abitanti l’italiano come lingua d’obbligo, nel sistema scolastico e nei vari impieghi. In proposito si può ricordare il romanzo di Giorgio Falco, “La gemella H”, del 2014, in cui parte rilevante è la marcia forzata di un cittadino tedesco che cerca di raggiungere proprio l’Alto Adige per salvarsi dalla imminente persecuzione hitleriana. Ma poi l’opera, alla fine di quel viaggio forte e ben scandito, si smarrisce in successive tappe nel nostro suolo. Qui invece il baricentro resta ben fermo, solidamente impiantato in una piccola località, Curon, nei pressi di Merano, non so bene se davvero esistente o se inventata, ma certo provvista di tutti i requisiti di una completa attendibilità. La storia inizia con una emigrazione. Marica, adolescente, lascia i genitori, la madre Trina, il padre Erich, per accogliere il fascino della Germania hitleriana che chiama a sé i figli irredenti, e poi sparisce nel nulla. A merito di questa vicenda sta senza dubbio il fatto di disprezzare con stoica determinazione ogni “happy end”, infatti di quella figlia in fuga non si saprà più nulla, il che dà modo alla madre Trina di impostare un lungo lamento in prima persona, da ricordare l’accorato appello emesso dalla nonna del ben noto romanzo di Susanna Tamaro, “Va’ dove ti porta il cuore”. Magari, pur apprezzando le ferme linee di condotta imprestate dall’Autore ai suoi personaggi, diciamo pure che questa scomparsa appare abbastanza inverosimile. Anche se erano tempi di non facili comunicazioni, soprattutto per una famiglia di poco reddito, resta tuttavia un caso poco credibile che una fanciulla sparisca così, e per sempre. Da notare che un’altra sparizione di uguale natura minaccia di nuovo il povero nucleo familiare, nella persona del figlio. Michael, anche lui sensibile al richiamo della germanofonia, pronto ad accorrere nelle file della Gioventù di fede hitleriana, ma almeno questo secondo figlio resta vicino ai genitori e in più occasioni ne assicurerà la salvezza. Comunque i due coniugi restano solitari, a soffrire di una doppia persecuzione, dapprima quella del fascismo che diffida del prepotente vicino e difende coi denti l’italianità del Sud Tirolo. Poi avviene l’alleanza tra le due dittature, e di nuovo l’infelice coppia soffre di questa mutata situazione, lui parte per il fronte, dove Italiani e Tedeschi combattono fianco a fianco, i primi con la ben nota impreparazione cui gli alleati più forti tentano di porre rimedio. Ma poi, quando i nostri “tradiscono”, ecco che sono i fratelli di lingua tedesca a invadere quel lembo di terra e a perseguitarvi i resistenti, gli antifascisti, quali sono rimasti, con ferma fede, i due eroi della vicenda. Da qui una trama di ristrettezze, miserie, fughe, nascondigli in casolari abbandonati, in cui Balzano rievoca, abbastanza correttamente, l’epopea resistenziale di un Beppe Fenoglio. E non è ancora finita, infatti superata la bufera delle persecuzioni nazifasciste e dei rischi di una latitanza al fianco delle forze della resistenza, si presenta subito un nuovo ostacolo, una decisione, rimbalzante nei decenni, di allagare la vallata per ricavarne un bacino alimentatore di centrali idroelettriche. A questo punto la nostra storia, cadute le tentazioni resistenziali e antifasciste, deve imboccare un sentiero che conosciamo bene attraverso l’epopea dei no-TAV, di coloro che difendono, ma in altre zone del nostro Paese, la sopravvivenza di valli, monti, case contro lo spianamento, la distruzione avanzanti in nome del progresso. Io personalmente sono alquanto favorevole alla causa dell’apertura di nuove vie di comunicazione, e non condivido i moti protestatari dei no-TAV, ma devo ammettere che la nuova battaglia in cui i nostri due si impegnano, è molto convincente e porta a meditare, a nutrire qualche dubbio sulla buona causa del progresso. In ogni caso il “Resto qui” risulta confermato, ribadito sempre in misura convincente, e perfetta è l’immagine della copertina del libro, con quel campanile circondato dalla crescita di acque che ne minacciano la sopravvivenza.
Marco Balzano, Resto qui, Einaudi, pp.

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