Letteratura

Pupi Avati, affascinante viaggio nelle tenebre

Per fortuna Pupi Avati ha risposto prontamente all’auspicio con cui chiudevo una recensione del tutto positiva della sua prima prova narrativa in prosa, “Il ragazzo in soffitta”, auspicio che ne venisse una nuova opera, come accade ora con “Il signor diavolo”. Come si sa bene, siamo in un periodo in cui i narratori tradizionali sembrano scrivere storie pronte a essere riversate su pellicola cinematografica, o in “serial” televisivi. Pupi Avati, signore della regia con decine di capolavori a suo merito, segue invece un percorso a ritroso, abbandona cioè i mari da lui dominati del cinema per risalire i torrenti oggi minoritari della scrittura, quasi come fanno i salmoni. Non solo, ma non si limita a ripetere quanto da lui già intrapreso nella prima uscita, e a bordeggiare i successi cinematografici, come in definitiva succedeva nel romanzo precedente. Anche là, come in tante sue pellicole, si partiva da una Bologna ben assestata in confortanti salotti borghesi, anche se nella soffitta di una casa bene erano andate a vivere in modo periglioso delle esistenze poste fuori da quell’area di sicurezza, inquietanti, ma in definitiva non sfuggenti del tutto al controllo dei “normali”. Qui invece Pupi Avati decide di dare un calcio ad ogni sgabello confortante, ad ogni margine di certezza, per avventurarsi nelle acque infide già da lui esplorate nei primi film della sua carriera. Basti pensare ad opere come “La mazurca del barone, della santa e del fico fiorone”, del ’75, o meglio ancora a “La casa delle finestre che ridono”, ’78. Chissà che questo ritorno alle origini, oltre all’esito cartaceo, non ne conosca anche uno filmico, starà all’autore decidere. Qui, intanto, avviene subito il tuffo nella corrente, o meglio, nella palude. L’”opera prima” cartacea rimaneva ancora dominata da una presenza ragionevole, “come noi”, con delega ricevuta dall’autore, pur chiamata a sperimentare vicende contrassegnate da fatti orrorifici. Qui siamo a una “full immersion”, in quanto il protagonista che dice io nella vicenda, tale Furio Momenté, è personaggio di dubbia moralità. Si tratta di un piccolo funzionario della burocrazia romana che vuole emergere, quindi accetta di farsi spedire nella provincia veneta a seguire un caso giudiziario dai connotati incerti, che rischiano proprio di avere risvolti diabolici, di entrare nel territorio proibito dei malefici, delle comparse in scena del “signor diavolo”, come promette il titolo. Siamo in regime democristiano, quindi Momenté sa bene che suo primo compito è di mettere a tacere le strane voci che avvolgono un crimine dai lineamenti molto confusi, restaurando la pubblica quiete, eliminando ogni lato oscuro. Del resto, fin dall’inizio questo modesto travet ci appare improntato a dubbia moralità, basti dire che per far quadrare il bilancio domestico accetta addirittura che la moglie si prostituisca. Nel corso della sua missione Momenté viene in contatto con un giudice istruttore, Marino Melchionda, che vorrebbe attenersi a una limpida razionalità, ma si trova di fronte a fatti oscuri e controversi. Imputato è un giovanotto, Carlo Mongiorgi, che avrebbe ucciso un suo coetaneo perverso e molto chiacchierato, tale Emilio Vestri Musi, ma in modi non chiaramente accertati. Sarebbe entrato nella scatola cranica attraverso il bulbo oculare colpito da un sasso tirato con una fionda, ma non sembra che l’accusato, figura gracile, abbia in sé tanta forza, e dunque già qui subentra il sospetto di essere stato aiutato, al gesto improbabile di un Davide dell’innocenza contro un Golia delle tenebre, da un suo compagno già deceduto, Paolo Osti. Ma il lato più misterioso, terrifico, diabolico sta nella vittima stessa, nel Vestri, forse davvero una incarnazione del Diavolo, o quanto meno di un lupo mannaro, dotato di canini affilati con cui, si dice, avrebbe sbranato una povera fanciulla. Del resto da questo regno inquieto e perverso balza fuori una realtà incontestabile, infatti il nostro funzionario chiamato a spegnere, a far rientrare la vicenda in una tranquilla normalità, si vede recapitare un pacchetto che contiene proprio i denti laceranti dell’accusato, della figura satanica che in definitiva muove i fili di tutta la storia, anche se l’opinione pubblica cerca di rimuovere questa inquietante realtà. Siamo insomma ben lontana dalla logica accomodante dell’intera ondata di “gialli” o polizieschi che oggi ci vengono ammanniti, non c’è il bravo poliziotto, il Montalbano, il Cogliandro che pur attraverso tormentate peripezie risolve gli intrighi facendo ritornare il sereno. Pupi Avati rinuncia a queste accomodanti soluzioni, fa pesare sull’intera vicenda un clima ossessivo, di visioni e fenomeni perturbanti, gli stessi che del resto visitano molto spesso le sue trame, anche quando sembrano seguire un verso giusto. Penso a una storia come l’”Avventura scolastica”, dove al gruppo di ragazzini condotti a compiere un normale e salutare trekking sull’appennino compaiono appunto visioni macabre, come quella dei due coniugi defunti trainati su un improvvisato carro funebre.
Pupi Avati. Il signor diavolo, Ugo Guanda, pp. 202, euro 16.

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