Attualità

Rubens, Madonna della cesta

Questa domenica la mia ormai solita visita virtuale va a Firenze, Palazzo Pitti, Sala di Giove, dove ha ritrovato il posto di cui già godeva la tela di Pietro Paolo Rubens, “La Madonna della cesta”, dopo essere passata attraverso un congruo restauro. E’ un dipinto di modeste proporzioni, se si pensa alle misure enormi che il pittore fiammingo era solito ricoprire, ma c’è dentro l’essenza del suo stile, che è anche una delle più alte e tipiche espressioni del barocco, nella sua anima più propria. Domina cioè nello stile rubensiamo un fare rotondeggiante, in un impulso ad abbracciare le varie componenti delle opere, quasi che per ottenere un fine del genere il pittore “pompasse” dentro le sue creature dell’aria, come si farebbe proprio in quelle che vengono dette precisamente “camere d’aria”. Naturalmente un trattamento del genere vale soprattutto per le protagoniste al femminile, e fa tutt’uno col tipo di bellezza muliebre in cui l’artista si è fissato, fino quasi a ricavarne uno stereotipo, magari pure con qualche rispondenza ai dati antropometrici delle donne della sua terra. Figure prosperose, con corpi bianchicci, ma soffusi di rossore, proprio a ribadire tanta prosperità di carni, eccedente, trasbordante. Nulla di simile presso di noi, se si eccettua il caso di Tiziano, l’unico che quanto a immagini muliebri prosperose aveva preannunciare gli effetti poi raggiunti da quel suo erede. Se si vuole, esiste una prova “e contrario”, basti pensare al continuatore forse più fedele e degno che Rubens ebbe, a Jacob Jordaens, caratterizzato proprio dal verificarsi del fenomeno opposto, di uno sgonfiamento delle carni, tanto che i corpi nudi nei suoi dipinti danno luogo a pieghe, a rientranze, come succede proprio quando l’aria se ne va da un involucro. Naturalmente questo senso barocco del gonfiare le carni Rubens ha avuto tante occasioni di metterlo in atto, ben più maestose rispetto alla presente teletta, che però risponde in pieno a questi caratteri, anche se protagonisti del gonfiore biancheggiante sono soprattutto i due pargoli, il Gesù Bambino e il Giovannino, uniti nel dar luogo a una candida massa, su cui del resto si china la Madonna, anch’essa caratterizzata dal candore emanante da un’ampia scollatura e da un volto pallido. Le due figure ai lati chinano le teste per entrare in questo concerto dominato dalle linee curve, e anche, diciamolo pure, per adattarsi alle misure ridotte del dipinto. Inutile dire che la cesta eponima dell’opera impone decisamente il suo motivo strutturale, detta la legge dell’intera composizione, ben aiutata da quell’ammasso di oggetti quasi indecifrabili che si accumulano nell’angolo di destra, che sono quasi le camere d’aria per il momento sgonfie, ma pronte a ricevere anch’esse l’opportuno pompaggio e quindi a innalzarsi come palloni leggeri e vorticanti.

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