Arte

Signac: Divisionismo fine a se stesso

Una mostra al LAC di Lugano ricorda il numero due del Divisionismo, Paul Signac, il diligente luogotenente che seguì di soli quattro anni (1863-1935) il capofila Georges Seurat. Non è mia abitudine celebrare i primi della classe a detrimento dei comprimari, mi sembrerebbe rasentare l’infausto metodo crociano che pretendeva di distinguere tra chi riesce a sollevarsi alla “poesia” e chi invece non ce la fa. Ma certo a un giudizio comparativo il luogotenente Signac risulta parecchio inferiore al Maestro, anche e soprattutto perché non ha afferrato un cardine della concezione dell’altro. Che fu biforcata, fondata su due principi, nonostante le apparenze. Certo, in primo luogo bisognava uscire dall’Impressionismo e al suo affidarsi all’improvvisazione dell’attimo fuggente, e quindi dare ordine, regolarità alle pennellate, portandole il più possibile a misure standard. Ma nello stesso tempo Seurat sapeva bene che bisognava contrastare lo sbriciolio che ne seguiva, e dunque sviluppare a parziale compenso anche un sistema lineare. Ovvero, quei minuti frammenti dovevano essere sostenuti da muretti, da cinture divisorie, i quali non potevano evitare di affidarsi a ritmi lineari decisi, oltretutto intonati a quanto chiedeva la stagione Art Nouveau, e dunque dovevano opporsi alle coordinate cartesiane, alla severa scansione di orizzontali-verticali per imboccare piuttosto i moti sinuosi di curve complesse, ellittiche, paraboliche, eccentriche in genere. In tal modo Seurat confluiva nel clima generale che veniva confermato da architetti e da artigiani del vetro e del mobilio, o addirittura si affiancavaal taglio deciso in cui si producevano gli stilisti della moda. E così, il suo capolavoro, la “Domenica alla Grande Jatte”, non è solo un tripudio di piccoli tocchi scintillanti, ma anche di curve tracciate con assoluta maestria, tanto che, se si causasse una emorragia proprio dei tocchi brevi e puntiformi, rimarrebbe un suadente traliccio, una sinfonia di curve ingegnose. Questo principio complementare, grazie al quale Seìurat finiva per allinearsi al suo rivale solo in apparenza, Gauguin, sfuggì invece del tutto al seguace di poco più giovane, che dunque mantenne le sue pennellate nello stesso disordine affollato, fino al soffocamento, di cui erano stati prodighi, e continuavano ad esserlo, i più anziani Impressionisti. Il suo punteggiato, invece che imporre una qualche razionalità all’intrico delle sensazioni, o ai “Riflessi sull’acqua”, come titola la mostra di Lugano, lo rende ancor più caotico e perfino fastidioso, proprio per il fallito tentativo di imporgli un qualche controllo. Fra l’altro, Signac non capisce che se se si adotta quel metodo, ne deve seguire una riduzione della profondità spaziale, la visione dovrebbe afflosciarsi in superficie, così da recuperare l’antico mosaico medievale, e magari procedere verso il futuro, verso il retino fotolitografico o addirittura lo sfavillio dei pixel televisivi. Invece, così, la riforma resta bloccata a metà del suo percorso, divenendo inutile e perfino fastidiosa.
Paul Signac, “Riflessi sill’acqua”, Lugano, LAC, fino all’8 gennaio 2017.

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