Letteratura

Stancanelli, una femmina molto indecisa

Non essendo giurato di alcun premio letterario per la mia nota condizione di critico “non esistente”, assiso in non so quale poltrona del cosmo, posso divertirmi a spendere giudizi sui concorrenti entrati nelle cinquine finali dei due nostri premi più importanti, lo Strega e il Campiello. Nel caso del primo, mi sono già pronunciato a proposito del vincitore, Edoardo Albinati e della sua “Scuola cattolica”, sull’unica sede cartacea che ancora mi resta, l’”immaginazione” di Anna Grazia D’Oria, che ha però l’inconveniente, proprio delle riviste, di uscire a qualche distanza dall’immediata attualità. Nel complesso, credo che ancora una volta il nostro maggiore premio letterario abbia saputo scegliere bene, quel romanzo spicca per doti sorprendenti di efficacia nel trascrivere l’oggi, l’afflusso di una narrazione in diretta, anche se soffre di qualche scompenso, di salti di dimensione, forse provocati dalla sua stessa volontà bulimica di fare grande. Passando agli altri, dico subito che non parlerò di Eraldo Affinati, in quanto non interessato a una narrativa magari utile ma che scivola in un compito biografico–documentario. E dunque restano gli altri tre. Comincio dall’ultimo in graduatoria, “La femmina nuda” di Elena Stancanelli, che in effetti mi sembra cosa molto debole, combattuta tra varie istanze, incapace di comprendere quali avrebbero potuto essere le carte migliori da giocare. Al centro ci sta una storia d’amore vacua, leggera, come ce ne hanno ammannite tante, tra la protagonista che ha nome Anna e il suo partner Davide, che gliene combina di ogni colore, tanto da farle dichiarare che no, così non si può continuare. Non si contano le abiure a quella passione insana, che però rispunta, forse più in risposta a una deficienza dell’autrice, a una sua incapacità di cambiare pedale una volta per tutte, un po’ come succede al pugile in difficoltà quando abbraccia il rivale per riprendere le forze. Naturalmente all’origine delle rotture periodiche con Davide ci stanno i tradimenti di costui, e si deve ammettere che questa potrebbe essere la parte più interessante, in quanto Anna, per smascherare l’impenitente fedifrago, si vale delle possibilità fornite dal progresso tecnologico, come il cellulare, il telefonino con trasmissione via internet, il che la porta alle costole della principale rivale, personaggio volgare in possesso di un nome curioso, Cane, che in effetti sembra fare tutt’uno proprio con un cagnuzzo sempre al suo seguito, pronto a mordere con denti acuminati. Attorno a questo personaggio scatta la migliore invenzione del romanzo, in quanto, con iniziativa degna della sua bassezza, Cane si fa riprendere appunto al cellulare la sua vagina e la invia all’amante, a scopo di eccitazione, di vigile richiamo all’erotismo. Sennonché, miracolo dell’elettronica, quell’autoritratto dal basso perviene anche alla concorrente, a inquietarla, a recarle una sfida continua. Rimanendo ancora per un momento alla condizione di donna tradita incombente sulla protagonista, in fondo questa poteva essere l’occasione per inseguire il Boccaccio in uno dei suoi capolavori, se si pensa all’”Elegia di Madonna Fiammetta” e alla sua lamentela continua per un fidanzato andato a Nord e sparito dall’orizzonte. Ma la Nostra non sa bene come svolgere una propria elegia in merito, e si comporta come Giamburrasca, quando, al momento di iniziare il suo Giornalino senza sapere bene che cosa mettervi, decide di andare a copiare quanto vi scrivevano le sorelle maggiori di anni. Questo per dire che Anna, per dare consistenza alla sua elegia dell’abbandono, va a svolgere una specie di antologia di tutti i sintomi di chi, per pene d’amore, diviene anoressico, e magari la sfilata delle diete feroci che un simile stato psicosomatico impone risulta abbastanza efficace. O all’opposto Anna passa alla controffensiva, si dà a un erotismo sfacciato, offrendoci un diligente campionario di prestazioni buccali, il che però risulta del tutto sconveniente rispetto al profilo mediamente prevalente di Anna, personaggio stinto e con velleità intellettuali. Il meglio si ha quando la protagonista, affascinata dal brutalismo della rivale Cane, come una falena attirata dalla lampada fino a farsene ustionare, la avvicina, va a pranzo con lei, assiste alle sue abbuffate, particolarmente di ostriche, seguite da incontenibili crisi di vomito. La scrittrice fa dire ad Anna che tutto ciò è avvilente, abbrutente, ma noi lettori, invece, le vorremmo suggerire di insistere su quella chiave, lasciando perdere gli smunti, inconsistenti patemi d’animo della protagonista.
Elena Stancanelli, La femmina nuda, La nave di Teseo, pp. 156, euro 17.

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