Letteratura

Albinati, il rischio di deviazioni

Ho sul mio tavolo l’ultimo prodotto di Edoardo Albinati, “Desideri deviati”, che mi sembra riportarsi all’altezza di una prova positiva quale “La scuola cattolica”, insignita del Premio Strega, e accolta anche da me con una sostanziale approvazione. Poi mi ero occupato anche di “Un adulterio”, riconoscendovi pur sempre i tratti di una buona attitudine, ma sviluppata come in un formato minore, meno impegnativo. Tuttavia il consenso che gli rivolgo è sempre offuscato da qualche disagio e perplessità. A formularli mi aiuta il titolo stesso di questa prova, pur complessivamente riuscita, quel riferimento a desideri “deviati”. Pare proprio che il nostro autore non riesca a evitare talune deviazioni rispetto a un percorso principale. In questo caso ce n’è uno subito in partenza, in quanto un primo protagonista, detto il Coboldo, viene dal Sud, ma rispetto a taluni stereotipi della meridionalità. come una vita grama trascorsa all’ombra di due zie zitelle, devia subito, portandosi, e portando fortunatamente anche noi, su una ben più dinamica scena milanese, così evitando tutti i limiti e i rischi che continuano ad annidarsi in chi ancora frequenti il Mezzogiorno, meglio lasciarlo a grandi testimoni del passato. Ma anche a Milano questa prosa ci impone un’altra deviazione, infatti potrebbe sembrare che il Coboldo si tuffi nella frequentazione del mondo editoriale. E dunque saremmo a un romanzo a chiave, dovremmo andare a cercare chi, tra i tanti dominatori dell’editoria ambrosiana, si cela sotto le varie dramatis personae. Saremmo insomma a una specie di emulazione del compito in cui si è specializzato in particolare Walter Siti, per non risalire addirittura al Parise del “Padrone”, intento a rivedere le bucce di un colosso dell’editoria quale Garzanti. Ma per fortuna non è così, anche se l’ambiente di partenza potrebbe farcelo pensare, infatti anche qui c’è un padre padrone, di nome Minaudo, pronto a esercitare un po’ di nepotismo a favore di un figlio inetto, come sta a significare il soprannome che gli viene affibbiato, di Quadratino, per certe sue caratteristiche somatiche. Però il vero protagonista si chiama Nico Quell, e non resta affatto prigioniero nelle stanze della casa editrice, e nei riti e intrighi che vi si compiono, ma si muove in libera, anarchica scoperta di altri aspetti del mondo circostante, Una scena madre consiste in un ricevimento, anzi, in un party, dato dalla facoltosa e ben introdotta coppia dei coniugi Macchi, e in questo caso Albinati dà il meglio di sé, riscrivendo il galateo che al giorno d’oggi si addice a questi incontri mondani. Ritroviamo quasi la finezza, l’arguzia, la capacità analitica di un Proust, ma riportate all’altezza della nostra società attuale, cioè con tutti gli adattamenti che si convengono se si vuole procedere all’altezza dei nostri tempi. Per stare ancora a una simile capacità di fornire un brillante contraltare ai grandi del passato, si dà il caso che il personaggio numero uno, Nico, abbia una sorella. Irene, e così ritroviamo addirittura il duetto brillante, intrigante che ci ha ammannito a lungo Musil. Irene brilla anche per un comportamento sessuale audace, disinibito, aggressivo, come del resto avviene in tutte le coppie che affollano queste pagine. Divertente. riuscita al massimo è pure la relazione che una solerte segretaria intrattiene col padre padrone Minaudo concedendosi a lui come per adempiere a una pratica d’ufficio. Fin qui tutto bene, siamo a un minuetto ben condotto, perfino esilarante. Ma poi, ancora una volta, arrivano le deviazioni cui pare proprio che Albinati, non del tutto consapevole delle sue armi migliori, non voglia rinunciare. Lo avevo già detto a proposito della sua “Scuola cattolica”, anch’essa raffinato tessuto di vita, sentimentale, sessuale, affaristica dei nostri tempi. Ma che bisogno c’era di introdurre, come elefanti in un deliziosa bottega di cristalleria, i truci delitti del Circeo? E anche qui, è vero che l’intellettuale anarchico Nico, vero eroe della vicenda, è sempre in libera uscita, al seguito di mutevoli e polimorfi “desideri”, ripetiamo pure uno dei due termini del titolo. Ma c’era proprio bisogno di fargli provare l’ebbrezza di sfidare la polizia, quando questa cerca di liberare un edificio da un’occupazione abusiva? Sembra quasi che Albinati tema di non riuscire a riempire a sufficienza le sue pagine, con le sottili note di un proustismo riveduto e corretto, ritenendo necessario metterci dentro anche qualche argomento forte, che però stride, proprio come dei pachidermi che schiacciano un brillante tessuto mediano.
Edoardo Albinati, Desideri deviati. Rizzoli, pp. 413, euro 20.

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