Letteratura

Bugaro, un bella trovata stilistica

Confermo che Romolo Bugaro è autore in continua crescita, come avevo dichiarato a proposito di due suoi romanzi precedenti, uno dei quali da me segnalato con pollice recto nella rubrica che tengo sull’Immaginazione, l’altro invitato a una rassegna a Cortina d’Ampezzo in cui tentavo di resistere alla locale Montagna di libri. Quest’ultimo, I ragazzi di sessant’anni, si basa su una felice soluzione stilistica, rara in questo momento di prove sciallbe e generiche, stese più che altro per fare concorrenza alla diffusione dei prodotti televisivi. Questa soluzione sta nel rendere impersonale il soggetto che ci parla, sotto una formula plurale ed anonima quale indicata dal titolo, i ragazzi di sessant’anni, come se la serie di vicende abbastanza comuni che capitano al protagonista venissero sollevate a una condizione, si potrebbe dire usando un vocabolo filosofico, da definirsi trascendentale. Non so se Bugaro, nell’adottare questa sua ingegnosa modalità, sia stato consapevole di riprendere uno stratagemma posto al centro di uno dei capolavori del Nouveau roman francese, La Modification di Michel Butor, affidata per intero a un impersonale e interlocutorio “vous”. Naturalmente, al di sotto di questa trovata ingegnosa, o meglio ritornando un uso più consueto dei pronomi, si avrebbe il solito panorama che compare nei romanzi dell’attuale main stream, avventure e disavventure di un uomo maturo, successi e insuccessi professionali, rapporti con la moglie e il figlio, con soci, amici, rivali, ma lo stratagemma stilistico dà forza a un simile panorama generico, come se divenisse appunto una condizione umana di largo seguito, Ed è anche ingegnoso vedere che questa soluzione si ripete, dato che i “ ragazzi di sessant’anni” sfidano, sempre rispettando il registro di larga partecipazione generazionale, con i “ragazzi” di ondate anteriori o posteriori, con i “ragazzi di quarant’anni”, o “di ottant’anni”. Beninteso, non è facile conciliare una dimensione di rispetto per i minimi casi della vita di oggi con questo statuto che li eleva a una validità “trascendentale”, cioè di larga diffusione, facendone quasi una regola pubblica. Ma appunto qui sta l’abilità del narratore, nel destreggiarsi tra il “particulare”, avrebbe detto il Guicciardini, e il generale, ovvero a regole di esistenza che convengono a tanti esponenti d quel certo stato d’animo, o di mentalità, o di vigore fisico. In ciò sono anche compresi i malanni, le malattie, insomma le prove che l’esistenza ci frappone come in una continua corsa ad ostacoli, e che il narrante supera brillantemente, protetto da quella corazza di genericità collettiva assunta. Ma poi questo “bel gioco” ha fine, ovvero, si potrebbe chiosare, la dimensione individuale ci attende in agguato, ognuno di noi muore da solo, anche se il “ragazzo di sessant’anni” non può darci testimonianza di un simile tragico evento, lo lascio solo baluginare in lontananza, ponendo fine alla sua confessione redatta in termini plurali e collettivi.

Romolo Bugaro, I ragazzi di sessant’anni, Einaudi, pp. 136, euro 16.

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