Letteratura

Chi ha più rancore nell’ultimo romanzo di Carofiglio?

I miei rapporti con i romanzi di Gianrico Carofiglio sono sempre stati altalenanti, tra il consenso e il dissenso, come del resto mi avviene anche verso la sua intera persona quando interviene agli incontri gestiti dalla Gruber: presenza lucida, inappuntabile, sorretta dall’esperienza del magistrato che credo lui sia stato, ma forse un po’ troppo ostentate queste doti, fino a temere che nascondano un qualche grado di frode,  di possibile marcia indietro o in senso contrario.  Ora mi trovo di fronte al suo ultimo nato, Rancore, e tanto per cominciare mi pare che si tratti di un titolo troppo esplicito, per una narrazione che dopotutto rientra nella categoria del giallo. Esso infatti già suggerisce una pista, basta andare a vedere chi fra i vari personaggi sia suscettibile di aver concepito il maggior rancore possibile contro la vittima designata. Perché ovviamente questa non può mancare, ovvero ci deve pur essere un qualcuno che sia stato assassinato, anche se con qualche abilità Carofiglio rimanda finché può una simile certezza, anzi, si arriva quasi fino alla fine del romanzo senza che si possa affermare che c’è stato davvero un omicidio. Forse proprio per alimentare un simile clima di sospensione, l’autore ricorre a una protagonista, Penelope Spada, uscita dai ranghi della polizia e della magistratura. C’è un ricorrente flash backa cinque anni più indietro, devo dire alquanto ingombrante, senza un’incidenza diretta con la vicenda qui svolta, se non forse per farci capire perché Penelope, Penny, sia uscita dai ranghi ufficiali. Allora si era comportata in modo non ortodosso, con qualche abuso dei poteri che le erano consentiti. O forse ancor prima quel passo indietro serve per lumeggiare ulteriormente la vittima, un superdotato Vittorio Leonardi, vincitore su tutti i tavoli in cui ha giocato, quello della medicina, da illustre chirurgo di chiara fama, l’altro della politica, dove è stato anche parlamentare, ma soprattutto nel potere occulto della massoneria, tra i cui intrighi e sabbie mobili si era svolta proprio l’inchiesta che aveva fatto perdere i gradi alla nostra Penny. Ma all’inizio di questa storia il grande Leonardi, in un freddo mattino, dalla governante, Elena, viene scoperto cadavere, steso nel letto, con tutti i sintomi di uno che si sente arrivare addosso la morte per infarto, da cui tenta di difendersi appunto immobilizzandosi sul letto. In contrapposizione ai successi di carriera e di prestigio sociale, Leonardi era un essere privo di generosità, gretto e meschino verso una moglie, da cui si era separato. Freddo e scostante anche verso una figlia,  Marina, tenuta sempre a grande distanza, senza alcun legame d’affetto, tanto più che l’anziano dominatore era passato a secondo nozze con una giovane di dubbi costumi, tale  Lisa Sereni, Ma è proprio la figlia, Marina, che per legami   verso il padre avvertiti a posteriori si rivolge alla nostra indagatrice privata, sicura  che qualcuno sia colpevole della morte paterna. Massima indiziata, appunto, la seconda moglie, che ha ricevuto anche la maggior parte della cospicua eredità lasciata dall’agiato professionista, e non divisa in parti uguali tra gli eredi legittimi, tanto che proprio la figlia ha fatto ricorso. Penny si schermisce, essendo fuori servizio, ma l’affare la intriga, vi si tuffa, anche se non trova appiglio per sbrogliare questa matassa e dare soddisfazione ai sospetti della figlia. Il medico curante e collega in sott’ordine dell’illustre clinico, tale Mario Loporto, chiamato al mattino, si era affrettato a riconoscere il decesso per cause naturali autorizzando la cremazione, e dunque non c’è un corpo su cui condurre delle analisi. Carofiglio è abbastanza abile nell’istituire un gioco di specchi tra questi vari attori che si rimandano  la palla l’uno con l’altro, e l’interrogativo è proprio quello che ho posto in apertura, dove trovare un carico tale di rancore, verso l’illustre vittima, da giustificare la decisione omicida? Naturalmente seguendo le regole del giallo, mi guarderò bene dal rispondere al fatidico interrogativo, cui del resto non giungerebbe neppure la nostra investigatrice privata, se da ultimo non si valesse di un deus ex machina, scoprendo l’esistenza di un cellulare in cui è avvenuto l’ultimo colloquio tra la vittima e il suo assassino, e dunque si può procedere finalmente allo scioglimento, ma in definitiva questo non discende dall’acume interpretativo della detective, bensì da un aiuto del caso.

Gianrico Carofiglio, Rancore, , Einaudi stile libero, pp. 238.

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