Letteratura

De Giovanni, parti buone e altre no

Nella pletora di autori dediti a praticare il giallo e il poliziesco da cui è caratterizzata l’attuale situazione della nostra narrativa, avevo già dichiarato una certa preferenza per il mestiere pulito e corretto manifestato da Maurizio De Giovanni. Lo avevo fatto nell’unica sede pubblica che mi è rimasta, “L’immaginazione”, a proposito di “Pane” della serie, fortunata anche per un trasferimento in TV, dei “Bastardi di Pizzofalcone”. Ma il nostro autore ha tante frecce al suo arco, ovvero tanti tavoli, tanti telai su cui tessere, ci sta anche la serie fortunata che ha per protagonista il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, di cui ora De Giovanni ci ammannisce un’altra impresa, “Rondini d’inverno”. Dico subito che in parte vi trovo una conferma, così da replicare il mio giudizio positivo, ma in parte vi trovo pure tante componenti inutili di cui l’opera nel suo complesso risulterebbe più funzionale, se liberata come da zavorra inutilmente imbarcata. Purtroppo queste parti spurie e inconcludenti sono comuni anche ad altri produttori della stessa categoria, a cominciare da chi ne è il portabandiera, lo stesso Camilleri. C’è la tendenza a indugiare nei fatti sentimentali del conduttore delle indagini. Nel caso di Montalbano, sono davvero insopportabili le battute di quell’estenuante dialogo a distanza che ha con la sua amante a tempo perso, Livia, che ci gratifica di rare, incongrue, inopportune comparse in scena. Se ci portiamo alla serie fortunata d’oltralpe intitolata al Commissario Cordier, ugualmente insopportabili sono i duetti che la sua condotta rude, tutta azione e prontezza di riflessi, è costretto a intrattenere con quella macchietta del folclore italiota che è la moglie Lucia. Beati, al confronto, i casi in cui l’interlocutore è un maschio, non sospetto di omosessualità, come il Watson di Sherlock Holmes, o il capitano Hastings di Hercules Poirot. Qui è da considerarsi stucchevole e superflua tutta la porzione degli amori sospesi e irresoluti che il nostro Ricciardi intrattiene con tale Enrica, combattuto lui, e pure lei, dalla tentazioni di diverse soluzioni sentimentali. Ma c’è di peggio, ovvero la pretesa di accompagnare al nucleo centrale della trama un episodio secondario, qui costituito dalle circostanze alimentate da Lina, una prostituta gentile, nobile d’animo, oltre il lecito e il verosimile, che si sacrifica per mantenere un padre e un figlio ingrati, a sua volta trattata come santa in un casino di alto bordo, frequentato, come si andrebbe in chiesa, dal commissario in seconda, Raffaele Maione, con relative indagini e tormenti. Pagine inutili, che si potrebbero tranquillamente eliminare. Ma infine c’è il nucleo stretto della narrazione, e questo funziona davvero, con un enigmatico delitto che si compie coram populo, quando un attore sulla via del declino, Michelangelo Gelmi, secondo copione dovrebbe sparare in scena alla moglie, nella finzione e nella vita, Fedora Marra, più giovane di lui e in sicura ascesa. Ma beninteso dovrebbero essere colpi a salve, a vuoto, e così è nel caso di un primo sparo, diretto all’amante, sempre secondo la finzione scenica. Ma quello diretto alla moglie invece va a segno, e la povera Marra muore in un lago di sangue. Ci sarebbe un classico movente, la gelosia, per spiegare il gesto omicida del Gelmi, ma perché consumarlo così sfacciatamente in pubblico, come sperare di sottrarsi alla responsabilità? Però lo sventurato si difende coi denti, giura di non capire come quel proiettile sia entrato nel caricatore, visto che lui la pistola se la teneva sempre chiusa nel suo camerino, da cui non si sarebbe allontanato. Diciamo che in questo quadro tutto funziona al modo giusto, ogni personaggio è credibile, il Gelmi nella sua situazione di attore sulla via del tramonto, che si sente ormai incapace di trattenere a sé una moglie troppo vivace, sicuramente portata a farsi amanti più giovani. Azzeccata anche la trafila che porta a risolvere il rebus, infatti in quel teatro, lo Splendor, esiste pure una anziana tutto-fare, quella che dovrebbe essere la più ferma testimone circa il fatto che nessuno si è introdotto nel camerino, a mettere in canna il colpo fatale. Ma da lei si risale a un marito, e soldato agli ordini del Gelmi nella Grande Guerra, da cui è uscito distrutto, avendo protetto il superiore dallo scoppio di una granata, Si intravede pertanto la possibilità, da parte della moglie, di una vendetta in ritardo, Ma come mai, dopo tanti anni? Subentra un più valido motivo, che mette in gioco la figlia dei due, Italia, innamorata del giovane su cui la irrequieta e “mangiatrice d’uomini” Fedora ha messo gli occhi, sentendosi avvolta, catturata da una sorta di prezioso manto che il giovane traccia ogni sera, ma a livello di suoni, emettendo una sinfonia col suo mandolino. E dunque, Italia ha addirittura un doppio movente, nel porre in canna il fatale proiettile, vendicare seppure a posteriori il padre, far fuori colei che pretende di portargli via il giovane amato. E nella sua esasperazione la ragazza giunge perfino a sparare al commissario Ricciardi, quando capisce che lui è ormai sul punto di capire ogni cosa. Da qui il sottotitolo di questo romanzo, “Sipario per il commissario Ricciardi”. Anche questo è un topos ricorrente, nella narrativa del genere, prima o poi viene il turno che qualcuno spari all’investigatore principe. Ma sta anche scritto che, proprio come in teatro, questi si risollevi da terra e riprenda a indagare come prima. A meno che l’attore che lo impersona nella inevitabile trasposizione televisiva non abbia scadenze contrattuali, e allora bisogna eliminarlo davvero. Il che non è il nostro caso, e dunque lunga vita a Ricciardi, appuntamento a una prossima uscita. Quanto al titolo, che c’entrano le rondini? Qui a dire il vero un’altra buona soluzione del racconto, infatti nelle prime pagine compare una “rondine” ritornata al nido ma fuori tempo. E’ il mandolinista incolpevole, straziato per quegli eventi, andato all’estero per decenni a medicare la piaga, ma poi tornato a casa, e pronto a narrarci la storia.
Maurizio De Giovanni, Rondini d’inverno. Einaudi stile libero, pp. 356, euro 19.

Standard