Attualità

Dom. 21-4-19 (Guglielmi)

Il mio amico e collega in tante avventure critiche Angelo Guglielmi sta festeggiando molto bene la sua età di 91 anni raggiunti in ottima forma. Ha affidato a un agile saggio, “Sfido a riconoscermi”, un autoritratto come via di mezzo tra capitoli, si direbbe oggi, di autofiction, e conferme del suo credo intellettuale. Ma soprattutto l’opinione pubblica resta propensa a riconoscere e celebrare in lui il direttore della Terza Rete, quando questa, in clima spartitorio, venne affidata al PCI e lui stesso, da funzionario Rai fin lì posto su un binario morto, venne recuperato ed elevato a un ruolo direttivo. Dove, come è ben noto, e oggi ricordato ad ogni passo, compi una rivoluzione, ponendo fine ai programmi ingessati e ufficiali delle due reti nazionali aprendo le porte a un impatto diretto della realtà, chiamando a darne testimonianza un gruppo di personaggi da lui inventati e promossi, i vari Costanzo, Santoro, Lerner, Chiambretti eccetera. Domenica scorsa alcuni di loro sono stati invitati dalla Annunziata, nel suo programma, tanto per non cambiare, della terza rete, a recitare le lodi del loro vecchio comandante, con sua presenza diretta. A suo merito, diciamo pure che Angelo “vola basso”, attribuisce il successo ottenuto allora a una perfetta capacità di cogliere il tempo giusto, mentre non ritiene affatto che il miracolo oggi sarebbe ripetibile. In fondo, diciamolo pure, la sua formula ha vinto fin troppo, ora tutti i programmi televisivi, non solo della Rai ma anche delle concorrenti Mediaset e Rete Sette e via elencando, si sono impadronite della formula, la gente comune viene interpellata ad ogni passo, e del resto anche i radical-chic, come i sanculotti alla rivoluzione francese, hanno ben appreso la lezione, sanno di dover apparire in vesti dimesse e ”popolari”, o forse meglio dire populiste. Vale insomma il motto tipico del “troppa grazia. S. Antonio”, una lezione che era innovativa quarant’anni fa, ora è di pubblico dominio, e dunque Angelo si può ritirare in buon ordine.
Dunque, tutto bene, una presenza di cui vengono riconosciuti i meriti storici, mentre lui stesso provvede a confermare quelli raggiunti a livello critico. C’è solo un punto che mi distingue da lui, anche se la mia sorte è imparagonabile alla sua, io sparirò nel nulla, del resto proprio la sua presenza critica mi ha sempre oscurato, in genere colleghi e avversari hanno dato per buone le sue interpretazioni sottoponendo le mie a selve di improperi, o peggio ancora di ostili silenzi. Ma nel mio piccolo io resto in linea, sono combattente oggi come ieri. Un limite di Angelo, e proprio come è risultato dall’intervista che gli ha dedicato l’Annunziata, è di essere caduto nella “laudatio temporis acti”, avvalendosi del copione “ai mei tempi sì che”, al punto di riabilitare perfino due personaggi che nella sua carriera critica ha sempre attaccato, Moravia e Pasolini, incontrando sul primo il mio dissenso, e invece piena concordia riguardo al secondo. Questo suo chiudere al presente Angelo lo aveva già dimostrato quando nel ’93 non sostenne per nulla il tentativo, condotto da me e da Balestrini, di rilanciare un fronte sperimentale, e proprio in ambito narrativo, negli incontri di RicercaRE, a Reggio Emilia. Fra l’altro, apriti cielo, in quei fortunati dialoghi con i nuovi narratori noi dovemmo constatare la rinascita della trama, questo vecchio protagonista della narrativa che non vuole mai uscire di scena. Proprio con lui personalmente mi scontrai, io difendendo Ammaniti come massimo esponente di questo rilancio, lui invece escludendolo, facendo piovere su di lui una implacabile condanna. E così via, io credo che ogni generazione dia i suoi frutti, obbligando anche l’establishment ad attuare certi pubblici riconoscimenti, se si pensa che proprio Ammaniti, e Scarpa, e Piccolo, balzati fuori da Reggio Emilia, sono andati a dama, ovvero hanno ricevuto il conferimento del Premio Strega. E spero che quest’anno venga laureato Scurati, anche se non uscito dalle nostre file, e vorrei anche che prima o poi ci si ricordasse pure di Covacich, e di altre nostre scommesse di quei tempi, tra cui le voci femminili, Ballestra, Campo, Santacroce, Vinci. E’ quasi una legge fisica, non si ammettono i vuoti d’aria, lo spazio, della letteratura e dell’arte, viene inevitabilmente occupato da nuovi arrivi, e il nostro compito critico è di ricominciare ogni volta daccapo, di non andare in pensione, se non sotto l’aspetto burocratico e remunerativo. Io almeno non ci andrò, anche se temo con esito nullo agli effetti di qualche pubblico riconoscimento.
Angelo Guglielmi, Sfido a riconoscermi, La nave di Teseo, pp. 168, euro 19.

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