Attualità

Domenicale 4-10-15

Qualche volta l’arte può suggerire soluzioni alla politica. Nell’ambito della prima oggi furoreggia l’endiadi “glocalismo”, dove il globale risulta fuso col locale. Ebbene, a una simile sintesi dovrebbero aspirare i territori che pretendono di distaccarsi da un governo centrale, alla ricerca non di autonomia, il che appare del tutto lecito, bensì di indipendenza, che invece si presenta come soluzione troppo drastica, forzosa, non in accordo con lo spirito dei tempi. Il caso più drammatico è quello dell’Ucraina, in cui le regioni dell’Est vogliono andarsene e congiungersi alla Russia, a costo di scontri in armi e versamento di sangue. In proposito ho già ricordato la soluzione ragionevole raggiunta da noi nel caso dell’Alto Adige, o Sud Tirolo, un territorio, diciamolo pure, di prevalenti tradizioni tedesche, a cominciare dalla lingua. Agli abitanti di ceppo tedesco noi abbiamo accordato piena autonomia, e da quel momento sono cessati gli scontri, gli attentati. Anche un’autorità come Romano Prodi, in una intervista a Scalfari sulla Repubblica di oggi, ha ricordato una simile eccellente soluzione, cui dovrebbe ispirarsi anche la Catalogna, evitando la pretesa di staccarsi dal resto della Spagna, e il discorso potrebbe valere anche per i Paesi Baschi, anche loro mossi da lieviti separatisti. Rivolgendo lo sguardo ad altre zone d’Europa, abbiamo pure il teso contrasto in Belgio tra la parte francofona del paese e quella fiamminga. In tutti questi casi, sembra proprio inutile mirare a soluzioni indipendentiste. La tutela di radici, tradizioni, interessi, anche di natura linguistica, può coesistere con una rete più ampia di rapporti, senza che tra le due componenti debba scaturire necessariamente un conflitto. Al contrario, l’inseguire con caparbietà un proprio “particulare” può riuscire di impedimento al godimento di strutture unitarie di larga portata. Vediamo per esempio il tema cruciale della lingua. A Barcellona e dintorni è giusto tutelare la vitalità del catalano, che possiede senza dubbio una sua nobiltà, lo sappiamo anche noi, data la sua affinità con i dialetti liguri e insulari della Sardegna e della Corsica, ma il casigliano è assai più diffuso, e perfino facile da parlare, anzi, costituisce l’unica lingua che può contendere a livello mondiale la altrimenti indiscussa supremazia dell’inglese. Il francese è in declino, ma certamente ha una diffusione ben maggiore rispetto al fiammingo che i secessionisti delle province nordiche del Belgio vorrebbero imporre, né per loro sarebbe consigliabile trincerarsi nel tedesco, lingua anch’essa di limitata diffusione, piaccia o no ai sogni di egemonia nutriti dalla Merkel.
Un altro tema del giorno è il rilancio del ponte sullo Stretto, partito da Alfano, e preso a sberleffi da gran parte dell’opinione pubblica, soprattutto di sinistra, sia per una sfiducia o denigrazione delle schegge che si staccano dal ceppo del berlusconismo, vedi il caso di Verdini e soci, sia per la ripresa di un’opera pubblica considerata inutile e superflua. Ora, sul primo fronte, la sinistra dovrebbe benedire ogni caso in cui dallo iceberg Berlusconi, a suo tempo monumentale e compatto, si stacchino dei blocchi più piccoli. Magari questi si disciolgono, ma intanto hanno intaccato e messo in crisi quella mole, e dunque, la sinistra dovrebbe apprezzare. Inoltre, se non si ha fiducia nei “capitani coraggiosi” dell’iniziativa privata, se si crede nell’interventismo dello stato per creare occasioni di lavoro, perché assumere espressioni di dileggio ogni volta che balenano appunto ipotesi di grandi opere? Ponti lunghi sono stati costruiti in tanti Paesi, lo ha fatto con ben due esempi San Francisco, si pensi al classico Golden Gate e anche all’altro ponte, ancor più lungo, che mette capo alla città satellite di Oakland, eppure quella è zona sismica, in perenne attesa del “big one”, cioè di un terremoto che potrebbe essere disastroso, ma ciò non ha impedito di costruire malgrado tutto. Ritengo poi nefasta l’influenza dei Verdi quando combattono contro le estensioni dell’alta velocità, e quando hanno patrocinato e vinto la causa dell’abolizione delle centrali termonucleari nel nostro Paese, obbligandoci ad acquistare energia elettrica dalle centrali della vicina Francia, che restano in pieno esercizio e producono larghi margini di profitto.

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