La Fondazione Ragghianti a Lucca dedica un giusto omaggio a Leonardo Dudreville (1885-1975), pittore che seppure legato a grandi episodi non vi ha mai tenuto un ruolo primario e quindi rischia l’oblio. Di lui, sia consultando il sito di quella Fondazione, sia Google (per ragioni di salute e anche di economia non riesco a visitare davvero le varie mostre di cui parlo) non trovo molte immagini, tranne poche che però sono i paletti della sua carriera, da un primo dipinto in cui, come tanti altri, si muove in un naturalismo che ha qualche asprezza di tono fauve, al modo di Moggioli, non lontano quindi da Gino Rossi. Quindi negli anni buoni costeggia il Futurismo, seppure dalle rive di un movimento autonomo da lui denominato Nuove tendenze, Tra le immagini tipiche del suo repertorio ci sta un dipinto di carattere futurista, si direbbe vicino a Gino Sverini, anch’esso fatto come di tante schegge policrone impazzite, o di una manciata di coriandoli gettati sulla scena. Poi anche lui si avvia verso il clamoroso ribaltone dei primi anni Venti, anticipandolo con la sua tela più famosa, Un caduto, dove tratta un soggetto sociale, un martire del lavoro, con una vena di specie espressionista. Poi, l’adesione al Novecento italianofondato da Margherita Sarfatti, in questi giorni tornata agli onori dell’attualità per la sua ben attiva presenza accanto a Mussolini, E che si trattasse davvero di un ribaltone, come ce ne sono stati pochi in tutto il Novecento, lo indica il fatto che a guidarlo fosse Mario Sironi, che all’inizio del secolo, a Roma, aveva preso lezioni da Balla, in compagnia di due protagonisti assoluti del Futurismo quali Boccioni e Severini, che poi sarebbero riusciti a trascinare il riluttante maestro su quella loro strada, da lui seguita dapprima con titubanza, quindi con una ben più convinta adesione. Ma nell’avventura del Novecento entrò, tra i sopra nominati, il solo Sironi, seppure con un ruolo decisivo, da vero e proprio numero uno. Considerando gli altri sei, forse un numero due fu Ubaldo Oppi, per un suo crudo realismo, poi forse Achille Funi, capace davvero di risvegliare le reliquie del classicismo. Poi appunto Dudreville, più incerto e sfuggente, e ancora, un Anselmo Bucci, ottimo come grafico, un Marussig, dai colori smaltati, infine uno sfuggente Malerba. Dudreville non si è mai pentito di quel suo passo indietro, ha coltivato una pittura neo-tradizionalista senza infamia e senza lode, per i lunghi anni che aveva ancora da vivere.