Letteratura

Ferrante: un prodotto annacquato

Non ho mai mancato di manifestare la mia perplessità, per non dire ostilità, davanti ai prodotti narrativi di Elena Ferrante, nonostante i gridi di entusiasmo di tanti colleghi, e soprattutto il consenso ottenuto da questa scrittrice a furor di popolo, ma non per niente siamo prevenuti contro i rischi del populismo in ogni sua accezione. Forse tanto successo è il frutto di una ignoranza, o dimenticanza, i critici e comunque i lettori che applaudono non hanno letto, o hanno scordato il capolavoro steso da Elsa Morante negli anni ’30, “Menzogna e sortilegio”, di cui questa attuale “Vita bugiarda degli adulti” ad opera della Ferrante appare come un prodotto edulcorato, annacquato, privo del vigore dell’originale. Anche se qualche cosa resiste, per esempio nel personaggio dominante della zia Vittoria, una fiera popolana di Napoli, piena di cattiveria per tutti i torti che ritiene di aver subito dai parenti, e pronta a trasmettere questo messaggio di ripulsa, di odio inconciliabile alla nipote Giovanna, Giannì, che si assume il compito di ricevere i colpi di questa avversione, ma anche pronta a mutarsi in una forma molto particolare di amore, rivolto quasi a sottrarre l’ignara bambina, che poi cresce, diventa adolescente e donna, ai mali che gli “adulti” sarebbero pronti a infliggerle. Chi ha letto le pagine della Morante, potrà trovare assonanze, corrispondenze, nel gioco estremo dell’odio, della ripulsa degli affetti familiari più sacri. Ma, come dicevo, la Ferrante annacqua questi nodi di vipera per una specie di sua incontenibile bulimia, pronta a dotare ogni personaggio che mette in scena di una serie innumerevole di fratelli, figli, cugini, nipoti, tanto che a leggere le sue pagine converrebbe proprio dotarsi di una pagina per registrare i nomi, e non perderli per strada, resistendo anche ai continui mutamenti di luogo e di condizione sociale, mentale, attitudinale dei vari protagonisti. Basti prendere il caso proprio di Giannì, in definitiva la protagonista numero uno, o il punto di vista adottato dall’autrice. Un momento va bene a scuola, è quasi un piccolo genio, poi no, diventa lavativa, indolente, quasi deficiente. E’ vero che soprattutto da piccoli o nell’età ingrata questi sbalzi di umore e di rendimento scolastico sono possibili, ma la Ferrante vi si affida un po’ troppo, come il malato che cerca scampo rigirandosi nel letto, o come il puglie che in momenti di debolezza si attacca al corpo dell’avversario per cercare riparo, finché l’arbitro non intima il tipico “break”. Qualcuno lo dovrebbe intimare anche alla Ferrante, il che fuor di metafora consisterebbe in un invito a “tagliare”, a stringere, a smetterla di allungare il brodo Ma questa moltiplicazione dei pani serve alla Nostra per tirare avanti, per moltiplicare le pagine dell’intreccio, anche se questo diviene ballonzolante, in un su e giù di umori contrastanti, per cui questa tumultuosa schiera di personaggi talvolta appare buona, qualche altra malvagia e insidiosa. Si dirà che anche la vita è così, ma una narrativa seria deve darsi un’economia, stringere i caratteri, portarli a pesare forte sulla bilancia dei sentimenti, il che qui certo non avviene.
Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti, Edizioni e/o, pp. 320, euro 19.

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