Letteratura

Forgione, vicende efficaci di un immaturo

Ricevo e commento ben volentieri il romanzo di Alessio Forgione, Il nostro meglio, edito dalla Nave di Teseo. Non conosco i suoi due precedenti romanzi, indicati nel quarto di copertina, ma mi convince il carattere di questa prova che si pone per intero fuori dal main streamimperversante ai nostri giorni, anche se il titolo dato all’opera non mi convince per nulla, mi pare troppo vago. Si tratta invece di un protagonista che manca totalmente di quei caratteri di destrezza che appaiono nei romanzi dei nostri giorni, di perfetta sintonia col mondo di oggi e di tutti i suoi marchingegni. Qui è di scena quasi un “ritardato”, un personaggio rimasto infantile, non cresciuto negli anni, ancora del tutto soggetto all’influsso della nonna, nonché, ma in grado molto minore, del nonno, e comunque di tutti i familiari. Giusto chiamarlo col nome dialettale Chiccù. Così come il referente, la sua guida pratica e morale è Nonnù. Il tutto si svolge a Napoli, ma si tiene lontano dalle scene di degrado che in genere la narrativa corrente è pronta a propinarci quando i romanzi sono ambientati nella città del Golfo, che oltretutto qui viene descritta senza una particolare enfasi, anzi, in toni quasi denigratori, a  cominciare dal suo celebre mare, che a p. 248 viene detto “… puzza e ogni onda suona come un rimprovero”.  Non è che in questa famiglia si nuoti nell’oro, ma vi si gode di un piccolo benessere, che si esprime soprattutto negli odori, magari del caffè che il nonno produce al mattino, o dei pasti che la padrona di casa produce con vecchio e sicuro mestiere. E direi che proprio gli odori hanno un ruolo importante, in questa vicenda fatta di niente, dove perfino il sesso se ne sta da una parte, non si va oltre qualche bacetto che il protagonista appiccica a interpreti femminili incontrate sul proprio cammino, ma quasi con riluttanza e scarsa partecipazione, cosa che del resto rientra nella sua condizione di sottosviluppo. Con contraddizioni, perché, crescendo, Chiccù riuscirà a frequentare perfino l’Università, e si dà pure a letture di qualche consistenza, da Nizan a Moravia alla Ortese. Ma in prima fila ci stanno sempre le sensazioni fisiche, le birre bevute con abbondanza, il “fumo”, tutte le piccole trasgressioni che sono proprie di un giovane non del tutto maturato. Del resto, la scena madre, quella che condiziona tutta la narrazione fatta di niente, è proprio la morte della nonna, che si annuncia, si avvicina, avviene per gradi, a piccoli passi, come evento inevitabile ma nello stesso tempo catastrofico. E sta proprio a Chiccù sincerarsi del trapasso arrampicandosi sul corpo ormai inanimato dell’ava, che lo ha protetto, indirizzato, ma diciamo pure inibito per tutta la sua esistenza. In fondo, è giusto che il racconto si arresti di fronte a questo evento, dopo il quale ci sono solo pagine bianche e vuote.

Alessio Forgione, Il nostro meglio, La Nave di Teseo, pp: 258, euro 17.

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