Arte

Nathan, artista troppo ricco

Forse Vittorio Sgarbi si è proposto di rilanciare la brillante idea che aveva avuto Carlo Ludovico Ragghianti negli anni ’20 del secolo scorso, di riproporre una ventina di artisti caduti nel dimenticatoio, o trascurati dai critici  allora in auge. In questo senso può essere vista la mostra  ora dedicata al MART di Rovereto, da lui diretto, al pittore triestino Arturo Nathan (1891-1944), affidandone la curatela a una sua collaboratrice, Alessandra Tiddia. Io stesso lo avevo trascurato, quando mi capitò di visitare per qualche tempo l’area triestina curando una personale presso il Museo Revoltella di Carlo Sbisà, autore non del tutto trascurato, anzi, accreditato tra i più noti rappresentanti del nostro Novecento. Anche Nathan aspirò a essere incluso in quella schiera eletta, cercando a questo scopo la collaborazione di un numero uno come De Chirico, ma senza riuscire nel suo intento. Forse, direi, considerando questa densa ed esauriente monografia, per un eccesso di carne da lui messa al fuoco, così da non fornire di sé un’immagine unilaterale, a senso unico. Forse il suo meglio è  da cercare negli autoritratti in cui si presentava con figure emaciate, quasi logorate da troppe riflessioni interiori, con una perentorietà più di aura tedesca che nostrana. L’opera più significativa in questa direzione è proprio L’asceta, un titolo che la dice già lunga, per indicare un senso di rinuncia, di chiusura in se stesso. E procede nella stessa direzione pure L’esiliato, quasi a ribadire il destino di un artista che si sentiva escluso, rifiutato anche da coloro da cui  pure avrebbe voluto essere accolto. A complicare le cose ci sta un dipinto come L’incantatore,dove al centro di tutto troviamo una figura molto simile a quelle già esaminate, non per nulla l’opera passa anche con la reiterazione del titolo di Asceta, ma attorno all’immagine, scarna, rigorosa, monacale compare un accompagnamento paesaggistico troppo abbondante, che in definitiva agisce da disturbo, rende l’immagine meno assoluta. Questo infatti il limite di Nathan, aver voluto tenere il piede in molte staffe. Per un verso, c’era pure in lui unna adesione a reperti classici, di arcaismo, immagini nobili di divinità o di destrieri, che avrebbero sicuramente potuto consuonare con corde tipiche del clima Novecento, e magari da lì si potrebbe procedere anche fino all’Arte Colta dei nostri giorni, ma ancora una volta una fattura netta, di quei resti statuari, magari pure accompagnati da resti di colonnati sparpagliati al suolo, veniva intaccata, insidiata, corrosa dallo sfumato di paesaggi di gusto lombardo, quasi che per sostenere meglio la propria candidatura al nostro Novecento Nathan chiedesse pure la solidarietà a Carlo Carrà, che a dire il vero intervenne a suo favore, come è riportato nella perfetta antologia delle testimonianze a favore di questo artista riportate nel catalogo, E c’è pure un omaggio a Friedrich, alle sue marine fredde, ai suoi naufragi di navi, che scoprono a nudo le loro carcasse come fossero ossature di animali anch’essi preistorici, o emersi da qualche scavo. Insomma, una casistica troppo ampia, che contribuì a rendere incerta la figura di questo artista, a lasciarlo emarginato, ma pronto a recuperi di buona volontà, come        quello che ora gli viene dedicato.

Arturo Nathan, Il contemporaneo solitario, a cura di Alessandra Tiddia, Rovereto, MART, fino al 1° maggio. Cat. autoedito.

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