Arte

La provvidenziale coperta di Perino & Vele

La visita virtuale cui mi dedico ormai quasi ogni domenica questa volta si spinge lontano, si reca addirittura a Tirana, capitale dell’Albania, e anticipa di alcuni giorni la mostra che sta per aprirsi, dedicata al duo Emiliano Perino e Luca Vele, cinquantenni ora in possesso di una piena maturità, e di una perizia stilistica confermata con grande coerenza, di cui seguo le tappe con pieno consenso fin dalle loro prime apparizioni. Li distingue in partenza l’assunzione di un materiale povero, quasi folclorico, la cartapesta con cui si confezionano i carri mascherati e le processioni nelle feste popolari della loro terra, ma forse meglio dire che la secchezza, l’aridità di un simile materiale sotto il loro trattamento si “sofficizza”, in realtà è come se si valessero di materassi, di trapunte, percorsi da quella serie alterna di escrescenze e di avvallamenti che li scandiscono, facendone come delle pelli animali, magari ruvide, grossolane, degne di pachidermi, di quegli elefanti che in effetti entrano nel loro immaginario, ma debitamente scuoiati, come trofei di caccia da esibire su qualche parete. Mi viene in mente la similitudine di Charlie Brown e della coperta che si porta dietro invariabilmente, come toccasana, come epidermide protettiva. O si può parlare anche di una sorta di tappeto magico, comunque di qualcosa che serve come pelle sussidiaria e protettiva, con cui imbottire, attenuare le durezze del mondo reale, che pure ci sono, e che i nostri due artisti non intendo affatto nascondere. E dunque quel manto incantato viene gettato con mossa agile a coprire, a immunizzare i vari ordigni dei nostri tempi, vagoni di treni, macchine, strumenti appuntiti e rigidi che magari protendono in fuori i loro bracci aggressivi, minacciosi, pungenti, e che dunque occorre rintuzzare, imbottire a scopo di protezione. Quei medesimi lacerti di pelli estratte da animali selvaggi possono anche essere sciorinati all’aria, come tappeti da mettere al sole, da far prosciugare e stagionare. Oppure quegli involucri morbidi si acciambellano su se stessi, vanno a costituire come dei gomitoli, da cui spuntano fuori i bracci metallici, gli aghi, le spine che non sono stati ricoperti nell’abbraccio, e che dunque restano a dardeggiare una loro presenza, per quanto sottile, non tale da mettere in crisi gli spessori che li avvolgono e che in definitiva li proteggono, Si potrebbe anche fare riferimento a fenomeni quali le slavine, le frane, purché associati a una sorta di candore, come risultanti da emissioni di qualche prodotto artificiale, concepito proprio per attutire i colpi, le sporgenze, per avviarli a un processo di lavaggio, di sterilizzazione. Uno di questi prodigiosi gomitoli era stato destinato, dai nostri due, per andare ad arricchire il parco di sculture all’aperto di Santa Sofia, nel forlivese, ma al momento la decisione, benché altamente utile, propizia, è stata bloccata. Mi auguro che ci sia presto un ripensamento, e che questi loro nodi, grovigli, gliommeri abbiano la provvida accoglienza che si meritano.
Perino & Vele, Western Promises, a cura di G. Centrone e G. Cjcola, Center for Opennes and Dialogue, Tirana, fino al 31 ottobre.

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